Ergastolo per El Tigre e l’Angelo biondo l’Argentina fa giustizia sui voli della morte

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BUENOS AIRES – «Ergastolo! ergastolo!». È un boato profondo, un’esplosione di abbracci e di lacrime, davanti al Tribunale di Comodoro Py mentre il giudice Daniel Obligado leggendo la sentenza del primo processo Esma, “causa 1270”, ripete: “Cadena perpetua, cadena perpetua…”. Alfredo Astiz e “el Tigre” Acosta sono nell’aula, costretti per la prima volta ad ascoltare la condanna di una Corte argentina.
Fuori, sul piazzale, i familiari che da trent’anni attendono giustizia. C’è Cecilia de Vincenti, la figlia di Azucena Villaflor, fondatrice delle “Madri”, torturata e uccisa nel dicembre ‘77; ci sono i parenti di Rodolfo Walsh, il giornalista che denunciò il coinvolgimento della Cia nell’addestramento dei militari argentini e che venne ucciso in una imboscata; e quelli, venuti dalla Francia, di Leonia Duquet e Alice Domon, le due monache francesi sparite insieme ad Azucena; c’è Horacio Verbitsky, l’autore de “Il volo”, il libro che svelò nei dettagli il massacro degli oppositori organizzato dalla giunta militare. Nei dodici ergastoli letti dal giudice Obligado c’è tutto il “grupo de tareas 332” (i sicari) dell’ammiraglio Emilio Eduardo Massera, socio di Gelli e iscritto alla P2, morto un anno fa, che diresse con Videla la Giunta militare, trasformò in un lager l’Esma, la scuola ufficiali della Marina, e ideò il furto dei bambini, i figli dei “desaparecidos” che venivano affidati in adozione perdendo le loro generalità  naturali a famiglie di militari.
Sul grande schermo allestito all’esterno del tribunale scorrono le immagini dell’aula mentre i ragazzi di “Hijos”, l’associazione dei figli e dei nipoti delle vittime, gridano e battono i tamburi, le telecamere inquadrano Astiz impassibile. «Non devo pentirmi di nulla, un militare esegue ordini», ha sempre detto “l’Angelo biondo della morte”, il più noto insieme ad Acosta, fra gli ufficiali dell’Esma, già  condannato all’ergastolo in contumacia da un tribunale francese nel 1990 e da uno italiano nel 2007. Astiz divenne tristemente famoso perché fra i collaboratori più vicini a Massera era quello che aveva l’incarico di infiltrarsi nelle organizzazioni dell’opposizione alla dittatura militare. Capitano di vascello, nato a La Plata l’8 novembre del 1951, il giovanissimo Astiz divenne intimo amico delle madri dei desaparecidos, che avevano iniziato a riunirsi e a manifestare con il loro fazzoletto bianco intorno al capo, nella chiesa di Santa Cruz a Buenos Aires. Lo chiamavano “il biondino” e lui, con un nome falso (Gustavo), sosteneva di essere familiare di una vittima. Così organizzò il rapimento di Azucena Villaflor e delle due monache francesi che, in seguito, vennero uccise in uno dei “voli della morte” e gettate nel Rio de la Plata. Astiz abbracciava davanti alla Chiesa coloro che dovevano essere sequestrati segnalandoli in questo modo ai suoi complici del “grupo de tareas”.
Dodici ergastoli altamente simbolici quelli letti l’altra sera a Comodoro Py perché rappresentano un’altra vittoria dei familiari delle vittime nel lunghissimo braccio di ferro fra Stato e militari in Argentina. Alla fine della dittatura nel 1983, tutti gli ufficiali che avevano partecipato al massacro di oltre 30mila oppositori politici vennero amnistiati con la famosa legge “dell’obediencia debida”, l’obbedienza dovuta ai loro superiori; mentre i generali condannati ricevettero l’indulto. Un oltraggio per i familiari delle vittime che soltanto l’ex presidente Nestor Kirchner ha avuto il coraggio politico di affrontare convincendo il Parlamento a cancellare amnistie e indulti quando il giudice spagnolo Garzòn chiese all’Argentina l’estradizione di alcuni ufficiali per processarli in Spagna. Il voto del Parlamento consentì la riapertura dei processi sospesi da oltre vent’anni e la loro conclusione.


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