Più o meno destra, la scelta della Polonia

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 VARSAVIA. E’ giocata tutta a destra la battaglia politica per la guida della Polonia, dove oggi i cittadini vanno alle urne per rinnovare il parlamento. Proprio come nel 2007: allora si contendevano il potere il partito ultraconservatore dei gemelli Kaczynski Prawo i Sprawiedliwosc (Pis, «Legge e giustizia») e i liberal-conservatori di Platforma Obywatelska (Po, «Piattaforma civica») guidati da Donald Tusk.

A quattro anni di distanza, la partita si ripete. A contendersi la carica di capo del governo sono Jaroslaw Kaczynski (61 anni), leader di Pis, e Donald Tusk (54 anni) leader di Po. Allora la spuntò Tusk, dopo una campagna elettorale aspra e dai toni accesi: il suo partito conquistò il 41,5% dei consensi mettendo fine al «biennio dei gemelli terribili», durante il quale Lech Kaczynski (eletto presidente della repubblica nel 2005) e suo fratello Jaroslaw (premier nel 2006) avevano impresso una svolta ultraconservatrice alla Polonia al grido di «Bog, honor i Ojczyzna» (Dio, onore e patria).
Oggi i protagonisti sono gli stessi. La partita si gioca ancora tutta a destra. Il balletto dei sondaggi è sull’allegretto andante: alcuni istituti demoscopici danno il partito di governo Po in vantaggio di 6-10 punti percentuali sui diretti avversari del Pis, altri parlano di un testa a testa. In Polonia i seggi in parlamento (Sejm) e al senato (Senat) vengono assegnati col sistema proporzionale. C’è anche lo sbarramento del 5%, al disotto del quale nessun partito può partecipare alla distribuzione dei seggi.
Ma cos’è cambiato da quel 22 ottobre del 2007, quando Varsavia si svegliò con la vittoria di Tusk e in molte stanze a Bruxelles tirarono un sospiro di sollievo? Molte cose. Per esempio non siedono più in parlamento personaggi come Roman Giertych: vice primo ministro e ministro dell’istruzione (2006-2007) nel governo di Jaroslaw Kaczynski e leader della Lega delle famiglie polacche, un partito fondamentalista cattolico dalle marcate venature xenofobe, omofobe e islamofobe. Non c’è più il populista Andrzej Lepper, fondatore di Samoobrona (autodifesa) il partito nazionalista degli agrari, vice primo ministro e ministro dell’agricoltura nel governo Kaczynski fino a luglio del 2007, quando fu travolto da uno scandalo di mazzette e per questo cacciato dal governo. Lepper tolse la fiducia del suo gruppo parlamentare al governo e si andò alle elezioni anticipate. Si è suicidato quest’estate.
E poi non c’è più Lech Kaczynski, fratello gemello di Jaroslaw, morto nella tragedia di Smolensk, in Russia, dove il 10 aprile 2010 l’aereo presidenziale polacco si schiantò con a bordo gran parte dei dirigenti politici, economici e militari del paese. Non ci furono sopravvissuti.
L’evento luttuoso suscitò profonda commozione in tutto il paese e Jaroslaw approfittò dell’onda emozionale per candidarsi alle presidenziali che si sarebbero tenute a luglio di quello stesso anno. A vincerle però fu il suo avversario Bronislaw Komorowsi (Po), attuale presidente della Polonia. Oggi Jaroslaw ci ritenta. Dopo quattro anni di nuovo loro due: lui e Tusk.
Ma la Polonia non è più quella di quattro anni fa. E’ cambiata. Le nuove generazioni spingono per un cambio radicale della classe dirigente politica e molti di quelli che avevano votato Po nel 2007, turandosi il naso, sono indecisi tra il voto di protesta e il non andare alle urne. Insomma, serpeggia la delusione.
Dal suo canto Tusk rivendica i successi del governo in campo economico e in ambito internazionale. Vero. Prima dello scoppio della crisi finanziaria globale nel 2008, la Polonia cresceva a ritmi del 5-6% l’anno e è stato l’unico paese della Ue, durante la crisi, a non cadere in recessione, complice anche la politica di svalutazione della moneta (la Polonia non fa parte ancora dell’euro) che ha sostenuto l’export. Sul fronte internazionale Tusk ha rispettato gli impegni presi con l’alleato americano mantenendo in Afghanistan un cospicuo contingente militare. Oltretutto è riuscito a ricucire gli strappi diplomatici con Berlino e Mosca ereditati dal biennio dei gemelli terribili. E a Bruxelles il filo europeismo del premier polacco è stato premiato nel 2009 con l’elezione alla presidenza del Parlamento Europeo di un uomo del suo partito, l’ex primo ministro e accademico polacco Jerzy Buzek.
Il leader di Platforma Obywatelska però ha dimenticato di fare alcuni «mea culpa». Su tutti, lo scandalo di corruzione che coinvolse il ministro dello sport del suo governo e suo stretto collaboratore, poi dimessosi. Oppure con la realizzazione e la gestione alquanto traballante delle infrastrutture autostradali e ferroviarie. I lavori sulla tratta autostradale Berlino-Varsavia vanno a rilento e i costi sono lievitati rispetto alle previsioni. L’ultima vicenda che ha messo in imbarazzo il governo riguarda un pezzo di quella tratta, la Poznan-Varsavia. La compagnia cinese che si era aggiudicata i lavori, con un ribasso al limite della decenza, non pagava più operai e fornitori. I lavori sono stati interrotti e Tusk è dovuto correre in fretta e furia ai ripari affidandosi all’uomo della provvidenza, il magnate polacco Jan Kulczyk che a lavori ultimati avrà  il monopolio su tutto il tratto autostradale. I critici hanno parlato di pressapochismo, i maligni di una storia già  scritta, vista la stima che Kulczyk ha profuso nei confronti del premier negli ultimi anni.
Molti fra i sostenitori di Tusk gli rimproverano di essersi circondato di persone poco competenti e poco «onorevoli», e sono in tanti a rinfacciargli di non aver mantenuto le promesse di quattro anni fa. L’anima ultra-liberista del suo partito, che predica la privatizzazione (anche degli ospedali) e meno stato sull’economia, ora chiede uno slancio maggiore del governo verso questa linea. L’ala moderata invece cerca di rinsaldare i legami col mondo della pubblica amministrazione e il ceto medio.
Chi invece è rimasto fuori dal dibattito politico sono i giovani. Gran parte di loro non vota certo per Kaczynski, ma non sono neppure più disposti a turarsi il naso e scegliere il meno peggio nell’urna elettorale. Gli «indignati polacchi» vogliono un cambio radicale nella politica. Vogliono parlare di come affrontare la precarietà  del lavoro, di reddito minimo garantito per gli studenti, di politiche ambientali ed economiche sostenibili, vogliono sentir parlare di laicità  e fine dell’ingerenza della chiesa in Parlamento. Finora però quasi nessuno dei politici polacchi si è fatto carico di queste istanze, men che meno il giovane Gregosz Napieralski (37 anni), leader della sinistra socialdemocratica (Sld). Napieralski, che alle presidenziali del 2010 era riuscito ad arrivare terzo soprattutto grazie al voto dei giovani, è rimasto prigioniero della nomenklatura di partito, sempre la stessa da vent’anni, e il suo appeal verso i giovani non fa più presa. Sld è dato dai sondaggi al 10%. Il Partito dei contadini (Psl), oggi nella maggioranza di governo, è dato all’8%.
Chi invece potrebbe sparigliare i giochi, e in poco più di 3 mesi è riuscito ad attrarre il consenso giovanile, è Janusz Palikot, il «cavallo pazzo» anticlericale e progressista della politica polacca. Il suo movimento politico, Ruch Palikota, viaggia tra 6-10 punti percentuali. C’è chi pensa che potrebbe addirittura superare i consensi di Sld e diventare la terza forza politica del paese e a quel punto, se dovesse vincere le elezioni Po, non sarebbe del tutto impossibile un governo Tusk-Palikot.
Una eventualità  che mette i brividi a Jaroslaw Kaczynski, che ne ha fatto pure uno slogan elettorale: «Se vince Tusk va al governo Palikot». Provate a immaginare un «anticristo laico» come ministro della pubblica istruzione, non vi mette i brividi?


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