Yemen, la Cia uccide Al Awlaki l’imam Usa al vertice di Al Qaeda

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NEW YORK – Fuoco d’inferno, Hellfire, è il missile che ha segnato il destino del “jihadista americano”, forse il più temuto leader di Al Qaeda dopo l’uccisione di Osama Bin Laden. Sparato da un drone della Cia sui cieli dello Yemen, Hellfire ha centrato l’auto su cui viaggiava Anwar Al Awlaki, l’imam quarantenne che ha formato sul suolo degli Stati Uniti una generazione di terroristi, inclusi alcuni dirottatori dell’11 settembre.
La sua morte, ha dichiarato Barack Obama, «è un colpo duro per al Qaeda, un’altra pietra miliare nella nostra offensiva per sconfiggere il terrorismo, anche se al Qaeda rimane un’organizzazione pericolosa nella penisola arabica». Il presidente ha avvertito: «Nessuno s’illuda, non ci sarà  rifugio sicuro per i seguaci di al Qaeda e altre organizzazioni terroristiche, né in Yemen né in qualsiasi altra parte del mondo».
Alla soddisfazione della Casa Bianca si è contrapposto il più importante movimento per i diritti civili, l’American Civil Liberties Union, che ha rilanciato la polemica sul caso dell’imam dal passaporto americano: è lecito uccidere senza processo un cittadino degli Stati Uniti? «E’ un errore – ha dichiarato il responsabile legale dell’Aclu, Jameel Jaffer – investire il presidente del potere insindacabile di uccidere un americano che lui giudica come una minaccia per la sicurezza nazionale. La potestà  del governo di usare la forza letale contro i propri cittadini deve essere limitata a circostanze in cui la minaccia per la vita di altri americani è concreta, specifica, imminente».
Nell’attacco della Cia sono molti almeno in quattro, incluso un altro cittadino Usa, Samir Khan, direttore della celebre rivista Inspire che è «l’organo ufficiale» di al Qaeda pubblicato in lingua inglese. La polemica sul diritto di uccidere senza processo un cittadino degli Stati Uniti era già  stata sollevata dal padre di al-Awlaki, lui stesso laureato negli Stati Uniti e residente nel New Mexico. Con l’appoggio dell’Aclu, il padre aveva presentato un ricorso presso il tribunale di Washington, invocando leggi che proibiscono esplicitamente alla Cia e all’Fbi di compiere esecuzioni sommarie di cittadini americani. Ma l’appello era stato respinto perché il padre di Al Awlaki è un cittadino yemenita. L’Amministrazione Obama da parte sua ha risposto che Al Awlaki è diventato un bersaglio legittimo come ogni leader di al Qaeda, dal momento che aveva raggiunto i ranghi dell’organizzazione terroristica diventando così un “nemico combattente”. Il suo ruolo operativo di primo piano è stato documentato in diversi preparativi di attentati: i più recenti sono dell’ultimo biennio. Al Awlaki aveva reclutato e addestrato il “terrorista in mutande”, Umar Farouk Abdulmutallab, che nel Natale 2009 tentò di farsi saltare in aria con esplosivi nascosti nella biancheria intima, sul volo Amsterdam-Detroit. Altri attentati, falliti per un soffio, dovevano avvenire su aerei cargo FedEx e Ups in volo dal Golfo Persico verso Inghilterra e Stati Uniti. Almeno altrettanto pericoloso, Al Awlaki lo era stato nel suo ruolo di ideologo. Rappresentava “l’incubo perfetto” per gli Usa: un musulmano istruito, apparentemente integrato nella società  americana, ma deciso a diffondere il verbo della guerra santa nelle comunità  islamiche degli Stati Uniti. Dopo una laurea in ingegneria alla Colorado University aveva imboccato la strada della predicazione religiosa. In una moschea della Virginia era stato in contatto con due dei futuri dirottatori dell’11 settembre. Aveva ispirato Nidal Malik Hasan, il maggiore dell’esercito americano autore di una strage nella caserma di Fort Hood, Texas, nel novembre 2009. La sua uccisione ha un risvolto strategico importante: dimostra che la Cia riesce ad essere efficace nello Yemen, nonostante le rivolte che divampano in quel paese contro il regime autoritario del presidente Ali Abdullah Saleh. In seguito a quelle proteste diverse aree del paese, compresi i terminali petroliferi, sono insidiate da gruppi di fondamentalisti islamici e dalla stessa Aqap, la sigla che designa Al Qaeda nella penisola arabica. La necessità  di dare la caccia ad Al Awlaki avrebbe convinto Obama a mettere la sordina alle critiche verso il presidente Saleh, per non destabilizzarlo. Tuttavia il presidente yemenita negli ultimi mesi ha spostato il grosso delle forze militari dalla guerra contro Al Qaeda a funzioni repressive contro la sua popolazione.


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