«Diritto, non necessità »

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Minori nati in Italia, ricongiunti, arrivati soli e presi in carico da progetti educativi italiani, bambini trovati soli sul suolo italico, rifugiati, minori arrivati per adozione internazionale, figli di coppie miste. Parlare degli italiani di origine straniera non è facile, figuriamoci esserlo. E per averne un’idea basta fare un giro tra i post del forum della rete G2, seconde generazioni. Secondo i dati Istat, al primo gennaio di quest’anno i minori (figli di immigrati) regolarmente residenti nel nostro Paese erano 993.238, il 9,7% del totale, di cui 572 mila nati in Italia. Andando a spulciare invece i dati del Miur, alla stessa data erano circa 711 mila gli alunni con cittadinanza non italiana (il 7,9% del totale), di cui 255 mila della scuola primaria. Quando si parla di cittadinanza si pensa principalmente a loro, ai minori. Anche se ogni anno almeno 50 mila ragazzi di seconda generazione raggiunge la maggiore età . E sono più dolori che gioie.
«Il presidente Napolitano definisce un’assurdità  il fatto che i bambini nati in Italia non diventino automaticamente italiani? Era ora». L’avvocata Nazzarena Zorzella dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione, esperta di diritto di cittadinanza, tira quasi un sospiro di sollievo. Lei che ogni giorno riceve nel suo studio di Bologna – come il suo collega, il presidente dei giuristi dell’Asgi, l’avvocato Lorenzo Trucco di Torino – persone alle prese con la legge italiana che definisce «quasi nazista». Con entrambi parliamo dei principi – ius sanguinis o ius soli – di acquisizione di quello che «dovrebbe diventare – dice Zorzella – effettivamente un diritto con cui si esprime una propria volontà , una scelta di libertà , e non una necessità . E una terribile corsa ad ostacoli».
Avvocato Trucco, se paragoniamo l’Italia al resto d’Europa?
Beh, siamo uno dei paesi più arretrati, da questo punto di vista. A quanto mi risulta, per esempio, il tempo per la naturalizzazione – da noi sono richiesti 10 anni di residenza e di svolgimento di attività  lavorativa – è il più lungo in Europa. Negli altri Paesi europei ci sono forme mediate tra ius soli e ius sanguinis, tranne in Francia dove la legislazione è decisamente sbilanciata sul principio del diritto di suolo, mentre al contrario la persona che nasce sul territorio italiano ha l’unico vantaggio di poter richiedere al diciottesimo anno di età  e entro i 19 anni la cittadinanza italiana, ma bisogna poter dimostrare la presenza ininterrotta in Italia, con tutti i permessi di soggiorno e l’iscrizione anagrafica dalla nascita. E senza nemmeno un buco di qualche mese nella ricostruzione documentale. Succede infatti, soprattutto per la popolazione Rom – ed è uno degli scandali più grossi -, che in moltissimi casi si arriva addirittura alla terza generazione senza riuscire ad ottenere la cittadinanza italiana.
Avv. Zorzella, siamo fermi al 1992?
La legge sulla cittadinanza risale al 1912 ed è stata riformata nel 1992. Ferma da vent’anni, non tiene conto delle trasformazioni sociali. D’altronde certe norme del 1912, come quella della perdita di cittadinanza da parte delle donne che sposavano un cittadino straniero, sono rimaste in vigore fino agli anni ’80, quando c’è stata la riforma del diritto di famiglia e la Consulta le ha dichiarate incostituzionali. Secondo la legge del ’92, la cittadinanza si acquista da genitori italiani o se un bambino viene trovato solo nel nostro Paese e non si possa risalire all’identità  dei genitori. Una certa interpretazione della legge sulla sicurezza del 2004, che ha modificato il testo unico sull’immigrazione, rendeva poi perfino più difficile denunciare la nascita di un bambino – figuriamoci l’iscrizione all’anagrafe – se i genitori erano privi di permesso di soggiorno. Oggi c’è una grandissima discrezionalità  nella richiesta della certificazione e la cittadinanza non è un vero diritto soggettivo. Quindi pochi ragazzi nati in Italia, al compimento della maggiore età  riescono a diventare italiani.
Trucco, lei per l’Asgi – insieme all’Arci e a Lunaria – ha messo a punto i due progetti di legge di iniziativa popolare sulla cittadinanza depositati a settembre in Cassazione e per i quali da un mese circa state raccogliendo le firme con la campagna «L’Italia sono anch’io». Perché anche le vostre proposte non si basano solo sullo ius soli?
Riteniamo giusto un minimo di riferimento alla vita sul territorio, per evitare abusi. Nei nostri progetti il diritto è garantito se uno dei due genitori di chi è nato in Italia è soggiorna regolarmente qui da almeno un anno. Ma c’è anche un’ipotesi di ius soli secco, quando almeno uno dei due genitori è nato in Italia. Questo per evitare appunto le situazioni classiche di molti Rom provenienti perlopiù dall’ex Jugoslavia, in cui addirittura i nipoti di chi è nato in Italia non riescono ad avere cittadinanza. È una proposta molto diversa da quella di Sarubbi e Granata: il nostro è quasi uno ius soli completo e i minori che nascono in Italia o che frequentano tutte le scuole qui possono ottenere la cittadinanza entro i 10 anni d’età . La naturalizzazione, poi, si può ottenere dopo 5 e non 10 anni.
Zorzella, perché non fare come negli Usa dove vige il principio del suolo?
Se avessimo una legge sull’immigrazione buona, umana, razionale, normale, la cittadinanza potrebbe essere un diritto che esprime una libera scelta e non una necessità  come rischia di essere adesso, con la pessima legge che abbiamo. Una legge quasi nazista.


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