Stretta più forte sulle pensioni non bastano 40 anni di contributi

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ROMA – La manovra vola verso i 20 miliardi e il governo stringe sulle misure: pensioni e mercato del lavoro sono i dossier a cui si lavora nelle ultime ore anche in vista del confronto con le parti sociali previsto in settimana. Monti ieri ha detto che nei prossimi giorni saranno presente le linee di quella che ha definito una «complessa politica economico sociale».
Allunga il passo la riforma delle pensioni e l’intervento si fa più profondo. All’esame dei tecnici c’è il blocco del recupero dell’inflazione su tutti gli assegni che dovrebbe valere circa 5-6 miliardi; la stretta sull’anzianità  che prevederebbe «quota 100» nel 2015 (65 anni + 35 di contributi o 64+36) ma soprattutto la misura sarebbe accompagnata dallo «sfondamento» della soglia di 40 anni di contributi che fino ad oggi è stata una porta di uscita a prescindere dall’età  anagrafica (potrebbe salire a 41-43 anni); in discussione anche l’aumento delle aliquote per gli autonomi, l’aumento dell’età  di vecchiaia per le donne (65 anni nel 2016 o 2020 invece dell’attuale scaletta che prevede l’arrivo nel 2026). Si parla anche di un contributo di solidarietà  per le categorie che hanno trattamenti migliori della media (elettrici, telefonici, dirigenti).
Un pacchetto molto ampio che si sommerebbe alle altre misure, dalla SuperImu, alla patrimoniale, all’Iva, ma al quale – dopo le richieste della Commissione europea – si aggiungerebbero anche una serie di norme sul mercato del lavoro. Si lavora ad un progetto che prevede assunzione a tempo indeterminato dopo tre anni di lavoro (durante i quali non ci sarebbero le garanzie anti-licenziamento, tranne una indennità ) e successivamente tutele graduali con indennità  in caso di licenziamento. La norma – che si ispira al progetto Boeri-Garibaldi e sul quali i sindacati convergerebbero – farebbe salvi i vecchi contratti, prosciugherebbe il lavoro atipico e introdurrebbe per chi perde il lavoro un salario minimo garantito (con l’introduzione della flexsecurity) e naturalmente entrerebbe nel vivo della riforma degli istituti gestiti dall’Inps, dalla cassa integrazione agli assegni di disoccupazione.
In vista della convocazione delle parti sociali (che potrebbe essere tra venerdì e domenica, alla vigilia del varo della manovra), si lavora anche a misure per ridare fiato al potere d’acquisto, ormai falcidiato (le retribuzioni ad ottobre sono salite dell’1,7 contro il 3,4 dell’inflazione). Sul tavolo molte proposte che riguardano le aliquote, ma spunta anche l’idea di una tassazione separata delle tredicesime al 10 per cento (invece dell’aliquota ordinaria), che avrebbe il vantaggio di agire subito con il costo di 5-6 miliardi. Sul piano della crescita anche l’ipotesi di riduzione del cuneo fiscale: si tratterebbe di eliminare dall’imponibile Irap il costo del lavoro per i contratti a tempo indeterminato aumentando la vecchia detrazione di 5.000 euro (un costo di altri 5 miliardi).
Naturalmente le compatibilità  finanziarie sono assai limitate, ma il problema della crescita resta urgente: le stime dell’Ocse danno una riduzione del Pil dello 0,5 per cento il prossimo anno e impongono una frustrata all’economia. Dunque la manovra si avvia verso i 20 miliardi per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013: circa 10 miliardi servono per la caduta del Pil (ieri fonti del governo hanno fatto sapere che la correzione per il ciclo varrebbe solo per il medio-lungo termine), più la maggior spesa per interessi (sono cifrati 85 miliardi valutati in settembre ma da allora la situazione è peggiorata) e sovrastima del gettito dalla lotta all’evasione fiscale (in totale si contava su 10 miliardi). Mentre si lavora ai tagli selettivi delle agevolazioni fiscali per assicurare le risorse della delega fiscale (4 nel 2012 e 15 nel 2013) ed evitare che scatti la clausola di salvaguardia.


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