Tassare le transazioni finanziarie Per Obama è «una buona idea»

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 CANNES. Se i governi del G20 non si accordano su dove trovare i soldi per salvare i paesi e le banche europee in difficoltà , i movimenti sociali seguono chi il denaro ce l’ha e lo nasconde bene. Era successo nel marzo 2009, prima del G20 di Londra, con la «presa» simbolica di Jersey, il paradiso fiscale britannico nella Manica. Ieri è stata la volta di Montecarlo. Di prima mattina il movimento altermondialista, condito di indignati e Ong, si è mosso dal quartier generale del vecchio mattatoio di Nizza per raggiungere in treno la vicina Cap d’Ail, zona chic ed un po’ decadente, proprio sul confine con il Principato di Monaco.

Il G20 di Cannes è stata un’occasione ghiotta per inscenare la chiusura di Montecarlo, il paradiso fiscale per antonomasia nell’immaginario collettivo, soprattutto per un po’ di ricchi e astuti italiani. Circa duemila persone, organizzate da Attac Francia e dall’Union Syndicale Solidairs, hanno marciato al grido di chiudere i paradisi fiscali sulla strada costiera che porta allo staterello in territorio francese. Tra le ville di Montecarlo, chiuse o non abitate, non mancavano attivisti europei, e anche una delegazione della Corea, per dare continuità  alle proteste anti-G20 dello scorso novembre a Seul. Tutti per «aiutare i soldi a lasciare i paradisi fiscali», nelle parole dei gruppi cattolici della Ccfd francese.
Il G20 londinese, sotto la spinta di Francia e Germania, aveva rivisitato la lista nera dei paradisi fiscali e rimpolpato anche una lista grigia di altre giurisdizioni che non cooperano nello scambio di informazioni. Sembrava l’inizio di una possibile vittoria, soprattutto contro le regole che garantiscono la segretezza sui conti bancari aperti in quei paesi, ma si è subito rivelata una farsa. Tutti i principali paradisi fiscali sono usciti dalla lista nera, firmando il numero minimo di dodici accordi per lo scambio di informazioni – in gran parte con altri paradisi fiscali – e solo quattro paesi sono rimasti sotto osservazione. Isole Cayman, Jersey, Isole Mauritius, per non parlare dello stato del Delaware negli Usa e della City di Londra, legittimate come giurisdizioni «normali».
Poco conta che si calcola che nel solo 2009, dopo il crollo di Lehman Brothers, ulteriori diecimila miliardi di dollari di ricchezza privata di individui si siano andati ad aggiungere agli altri undicimila che risiedono protetti nei paradisi fiscali. Ben un quarto del Pil mondiale. Senza parlare delle big corporation, le quali operano fiscalmente tramite queste realtà , generando un trasferimento di circa mille miliardi di dollari l’anno non tassati dai paesi più poveri ed emergenti verso la madre patria nelle economie avanzate. Anche il settore privato dei paesi emergenti, però, si sta attrezzando offshore. Inoltre, il 90 per cento dei fondi hedge speculativi è registrato in paradisi fiscali, così come gran parte dei veicoli speciali di investimento che hanno cartolarizzato i mutui sub-prime e altri titoli immondizia.
Sconfiggere questo cancro insito nell’economia globalizzata non è impossibile. Come chiede la società  civile, basterebbe tornare a controllare i movimenti di capitale, pretendere che le multinazionali presentino bilanci specifici e pubblici in ogni paese e allo stesso tempo servirebbe tassare le transazioni finanziarie internazionali. Siamo al paradosso che anche speculatori doc, come George Soros e Warren Buffet, accettano che il capitale speculativo vada tassato e Bill Gates si promuove a paladino della tassa sulle transazioni finanziarie. Persino la Commissione europea l’ha proposta per rimpolpare il budget europeo dal 2014.
Ma anche su questa tassa il G20 dimostra la sua completa incapacità  a decidere, stretto tra l’incubo di disturbare i mercati finanziari che già  lo ricattano e questioni di mera politica interna. Nicolas Sarkozy ha annunciato l’ennesimo gruppo di contatto sul tema tra alcuni paesi. Barack Obama, ammiccando al suo elettorato accampato fuori Wall Street, ha detto per la prima volta che potrebbe essere una buona idea, ma nulla uscirà  dal vertice di Cannes.
«Oggi Montecarlo, domani gli altri paradisi», urlavano sulla via del ritorno gli attivisti, consci che la lotta sarà  lunga.
*CRBM


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