Economia e detenuti: è stato l’anno di Raàºl

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L’AVANA – Un indulto per 2900 carcerati e l’annuncio che dal primo gennaio un’altra importante parte di dipendenti statali diventerà  lavoratori autonomi, con una sorta di partita Iva. Queste due iniziative, la prima annunciata dal presidente Raàºl Castro la settimana scorsa alla conclusione dei lavori dell’Assemblea nazionale (parlamento), la seconda resa pubblica martedì 27 dal quotidiano del Partito comunista Granma, concludono un anno segnato da importanti riforme- dall’ampliamento del settore non statale dell’economia (socialista) che riguarda già  350.000 cuentapropistas, alla fine delle pesanti restrizioni alla vendita di automobili e case.

Da gennaio, a iniziare in 6 delle 15 provincie di Cuba (compresa l’Avana), saranno i lavoratori in organico all’impresa statale Servicios Técnicos, Personales y del Hogar a passare al settore privato, con contratti di affitto per gli immobili e i settori che costituivano i loro luoghi di lavoro (la cui proprietà  rimarrà  allo stato). Il nuovo sistema di «gestione economica» si applicherà , tra l’altro, a falegnami, calzolai, tappezzieri, fotografi, orologiai, riparatori di serrature e apparti elettrici, gioiellieri. Progressivamente, l’introduzione di «forme non statali nel campo dei servizi e del commercio» si estenderanno alle rimanenti nove provincie.
Ovviamente, come già  fanno gli oltre 350.000 autonomi di tante altre attività  (da pizzerie a cooperative agricole), anche i nuovi cuentapropistas dovranno pagare un’imposta sul reddito (il primo anno, però, i locali saranno dati gratuitamente in affitto).
Già  martedì, il portavoce della Comisià³n Cubana de Derechos Humanos y Reconciliacià³n Nacional (Ccdhrn), Elizardo Sà¡nchez, ha informato che circa 2900 carcerati erano stati messi in libertà  per via dell’indulto deciso dal governo sia «in base a una politica già  decisa», sia «per richiesta dei famigliari e di istituzioni religiose». Tra di loro, tre che la Ccdhrn annovera fra i prigionieri politici: Carlos Martà­nez Ballester (condannato a 15 anni per «rivelazione di segreti riguardanti la sicurezza di stato»), Yordani Martà­nez Carvajal e Walfrido Rodrà­guez Piloto (partecipazione a manifestazioni di protesta). Secondo Sà¡nchez nei prossimi giorni dovrebbero essere messi in libertà  un’altra decina di detenuti in situazione analoga. 
Oltre alle riforme economiche, il presidente Raùl può vantare un altro risultato non da poco: in un anno iniziato con le varie primavere arabe, cui sono seguiti in Occidente i movimenti degli «indignati» – tra le proteste più significative quelle degli studenti cileni – e infine il movimento Occupy Wall Street negli Stati uniti, nelle strade e nelle piazze di Cuba non si è verificata alcuna protesta popolare di massa. Le aspettative che il virus arabo avrebbe contagiato anche l’isola caraibica e che i cubani «indignati» si sarebbero rivoltati contro «la dittatura dei Castro», non solo era stato ventilato da più parti, prima di tutto in Florida, ma anche fortemente «incoraggiato» da potenti lobbies Usa (secondo Just the Facts, entità  civile che esamina le spese del governo degli Usa, citata da Granma, il Dipartimento di Stato avrebbe speso dal 1997 ben 200 milioni e 826 mila dollari in programmi contro Cuba).
La super-bloguera Yoany Sà¡nchez – che Foreign Policy ha inserito nell’elenco delle cento personalità  più influenti del mondo – in primavera chiedeva via Twitter informazioni sulle rivolte arabe, con evidenti aspettative che si estendessero a Cuba. Indirettamente le aveva risposto The Economist che, in aprile, all’interno di un’inchiesta sui fattori che avevano provocato le rivolte nei paesi arabi e sulla possibilità  che si estendessero anche fuori dal Medio Oriente scriveva: «Non vi sono finora segnali che tali avvenimenti, estendendosi all’altro lato del mondo, possano ispirare una crescita di sentimenti anti-governo a Cuba. Ed è possibile che abbiano successo le decisioni del governo di parzialmente liberalizzare la politica economica e di permettere l’emergere di un piccolo settore privato, riuscendo così ad abbassare la temperatura politica ed economica» del paese.
La secca analisi del settimanale conservatore inglese non ha scalfito le attese e gli auspici degli anti-castristi di Miami e della piccola opposizione cubana per un’esplosione popolare nell’isola – ironicamente definita «sorprendente e miracolosa» da Fernando Ravsberg, corrispondente all’Avana della Bbc e uno dei più acuti analisti della situazione cubana – che avrebbe abbattuto il governo cubano. Tali aspettative si sono rinnovate con la presa di vigore del movimento degli «indignati» in vari paesi occidentali.
«Quando ci indigneremo pubblicamente noi cubani? Quando ci daremo conto che qui vi sono mille ragioni per indignarsi?», si domandava, anche di recente, la pluri-premiata bloguera, dimostrando così che la sua capacità  di essere «influente» evidentemente non comprende la situazione interna della sua isola natìa. «La risposta a queste domande non sta nella rete (dove la Sà¡nchez è effettivamente una star internazionale, ndr ) né nelle tertulias di Miami, ma nelle strade di Cuba, in mezzo alla gente. Se la dissidenza vuole realmente fare tesoro delle esperienze arabe e degli indignati occidentali dovrebbe prima capire quello che succede realmente in quelle società  e poi fare un’analisi seria della realtà  dell’isola», continuava Ravsberg. 
Paul Webster Hare, ex ambasciatore della Gran Bretagna all’Avana, ha condotto tale analisi della realtà  cubana alla luce delle rivolte arabe in un lungo saggio ( Cuba, what might happen now) recentemente pubblicato dal Cuban Affairs Journal dell’Institute for Cuban and Cuban-American Studies dell’università  di Miami (istituto, dunque, non certo simpatetico nei confronti dei Castro) nel quale si ipotizza che «difficilmente nel breve termine si vedrà  a Cuba un movimento popolare che chieda la caduta dell’attuale leadership». L’autore del saggio, come pure il comitato di redazione del Cuban Affairs Journal, affermano che «un nuovo spazio politico ed economico si sta aprendo a Cuba… perché il governo ha ammesso che bisogna salvare l’economia per salvare la Rivoluzione». Questa situazione può favorire un nuovo tipo di opposizione, che sappia operare proprio nei nuovi spazi offerti dalle riforme economiche e sociali e che l’autore individua nel «civic entrepreneur», imprenditore civico. 
Quello che accomuna l’ex ambasciatore ai suoi colleghi statunitensi -vedasi rivelazione di WikiLeaks- è la sfiducia in gran parte dell’attuale dissidenza e opposizione, che pure è «frutto» di anni di politica di intervento della Cia e di ong tanto improbabili come Usaid.


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