Il pestaggio a Trastevere e l’agguato La Roma da romanzo criminale

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ROMA — La suggestione stavolta nasce dal luogo di un agguato e da una «gambizzazione» avvenuta altrove, ma poche ore più tardi. Due fatti di sangue quasi in contemporanea, che riaccendono i riflettori su «Roma criminale». Non fosse avvenuto a Trastevere, nel cuore antico della città , il pestaggio di un ventiseienne con piccoli precedenti di polizia ricoverato in gravi condizioni e di un’altra persona coinvolta nella lite, sarebbe passato quasi inosservato perché — con tutta probabilità  â€” riconducibile a una lite risalente nel tempo; e il ferimento di un cinquantenne pregiudicato per spaccio, rapina, minacce e oltraggio nella periferia di Tor Bella Monaca — una delle più malfamate — rientra probabilmente in un regolamento di piccolissimi conti. Qualche dose di cocaina, pare. Criminalità , certo, ma di basso profilo. Quasi fisiologica, in certi contesti che fanno assomigliare quel lembo di metropoli alla Napoli di Scampia. 
Ma «distinguo» e precisazioni a parte, sono altri due episodi di violenza accaduti in meno di ventiquattr’ore che allungano la lista delle aggressioni e delle sparatorie che forse non superano la media stagionale (le statistiche delle forze dell’ordine riferiscono che gli omicidi sono nella norma, i ferimenti appena aumentati) ma suscitano allarme. Non perché Roma sia diventata come Chicago o il Far West, che non è vero, ma perché raccontano una mutazione nella città  governata da tre anni dal centrodestra, che della sicurezza aveva fatto una bandiera elettorale e di propaganda. Mutazione che forse è culturale, oltre che criminale. 
«La novità  è un ricorso all’uso delle armi più frequente rispetto al passato, si ricorre alle pistole anziché ad altri sistemi per risolvere questioni anche di piccola entità », spiega il colonnello Maurizio Mezzavilla, comandante provinciale dei carabinieri, che aggiunge: «Dobbiamo capire meglio che cosa si sta verificando nel settore dello spaccio di droga, che fa da sfondo a molti degli episodi sui quali stiamo investigando. Quelli che hanno trovato una soluzione, finora, si sono dimostrati conseguenza di questioni di scarso rilevo, liti per quantità  effimere di stupefacente». 
Piccole questioni, che però sfociano in sparatorie che fanno rumore. Più di prima. Il questore di Roma, Francesco Tagliente, è dello stesso parere: «Ci troviamo di fronte a uno scenario che evidenzia una maggiore facilità  all’utilizzo delle armi da fuoco. Per quale ragione? Serietà  impone di concludere le indagini prima di rispondere; per adesso possiamo dire che tra i singoli fatti di violenza non emergono legami che uniscono l’uno all’altro, tranne tre o quattro riferibili all’ambito più tradizionale della criminalità  cittadina». 
Per provare a contrastare il fenomeno, oltre alle indagini, polizia e carabinieri aumentano lo sforzo sul territorio. Nel 2011 l’Arma ha sequestrato molta più droga rispetto agli anni passati, la polizia ha aumentato del 24 per cento i controlli sulle persone con precedenti specifici, l’ambiente maggiormente coinvolto negli agguati. I servizi di Volanti e Gazzelle nei quartieri a più alta densità  di pregiudicati sono mirati in primo luogo alla ricerca di armi e stupefacenti, e talvolta danno risultati clamorosi, come la scoperta di un vero e proprio arsenale nell’ultimo fine settimana. Ma non basta. Non può bastare se chi ha dei conti da regolare, inopinatamente decide di ricorrere a pistole e fucili per saldarli. 
«Nella società  romana c’è una violenza eccessiva e incontrollata, a cominciare da quella spicciola», ha riferito appena due mesi fa alla commissione parlamentare antimafia l’ex procuratore Giovanni Ferrara, oggi sottosegratario all’Interno del governo Monti. Cosa nostra, la camorra e la ‘ndrangheta hanno meso radici in città , ma non sono gli affiliati alle cosche che uccidono o feriscono alle gambe. Anzi, per loro meno violenza c’è in giro e meglio è, perché per la criminalità  organizzata d’importazione la capitale è terra d’investimento, non di affermazione del proprio predominio sul territorio attraverso azioni eclatanti. Lo dimostrano i sequestri di beni mobili e immobili — anche famosi, dal Café de Paris in giù — riferibili alle famiglie calabresi, siciliane e campane. 
Quello che si può immaginare è l’emulazione di sistemi da gangster a livelli più bassi del solito. Poi capita che tra le vittime dell’ultimo anno ci siano nomi che offrono collegamenti con vecchie storie. Come quello di Flavio Simmi, il gioielliere assassinato nel quartiere Prati (altra zona bene dove un omicidio pesa più che in periferia) il cui padre era stato marginalmente coinvolto in un’operazione di polizia insieme ai boss della banda della Magliana, ma ne era uscito quasi subito, scagionato prima ancora del processo alla gang; l’omicidio non è stato ancora risolto, ma difficilmente si lega alle storie degli anni Ottanta raccontate da libri, film e serie televisive. O come i due uccisi a Ostia un mese fa, probabilmente agganciati a un giro che discendeva da Paolo Frau (ammazzato nel 2002) e a Emidio Salomone (ucciso nel 2009), personaggi minori sopravvissuti all’estinzione della banda. Ma sono vicende diverse dal ferimento dell’ex pugile, ancora a Tor Bella Monaca, o di un altro uomo assassinato nella stessa zona, «colpevoli» di essersela presa un po’ troppo violentemente con le persone sbagliate. O dagli altri delitti legati allo spaccio di droga e forse anche al gioco d’azzardo, visto che almeno un paio di omicidi di questo 2011 così rumoroso sono avvenuti fuori dalle sale giochi. Morti ammazzati per questioni che un tempo si sarebbero risolte a pugni e calci, oppure a coltellate. Oggi invece a colpi di pistola. 


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