Se questa è economia «verde»

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La compagnia di Atlanta va più veloce. Dalla fine del 2009 la Coca-Cola ha immesso sul mercato una bottiglia derivata per il 30% da risorse vegetali anziché derivata da idrocarburi. Ne sono state vendute per ora 10 miliardi, in 20 paesi.
Coca-Cola sostiene che è imperativo passare alla bottiglia «vegetale» perché da qui al 2020 il consumo di bibite raddoppierà  passando a 3 miliardi di bottiglie al giorno (alle quali vanno aggiunte le lattine). Insomma: prosperi pure il consumismo di bevande spazzatura e il suo ciclo di vita (produzione, trasporto, distribuzione… obesità ), ma cambiamogli l’involucro; facciamolo verde.
La richiesta di biomasse per massicci usi futili come il consumo di bevande in bottiglia porterà  fra gli altri problemi a ulteriori furti di terre tropicali, seguendo il copione già  evidentissimo degli agrocombustibili. Lo ha denunciato giorni fa un articolo dell’Ecologist, ripreso dalla nostrana campagna dei Comuni virtuosi italiani «Porta la sporta», che si batte contro tutti gli involucri e imballaggi usa e getta; a partire dallo shopper di plastica – il nemico iniziale di «Porta la sporta» – mai uscito dall’orizzonte italiano, malgrado il divieto del gennaio 2011 che non è però mai stato seguito dai necessari decreti attuativi; intanto si sta ampliando il mercato dei sacchetti finti bio con plastica additivata. 
L’Ecologist riprende lo scenario di un libro del centro di ricerca Etc Group, Earth Grab – Geopiracy, the New Biomassters and Capturing Climate Genes. 
Il punto critico è che quanto è rimasto delle biomasse a livello globale assolve già  con difficoltà  a quelle funzioni ecologiche necessarie per la vita sul pianeta come la regolazione del clima, del ciclo dell’acqua e dell’azoto e la protezione dei suoli da fenomeni di erosione. Può la terra far fronte a massicce richieste di biomassa per sostituire combustibili fossili, pur dovendo continuare a svolgere funzioni ecosistemiche di vitale importanza? A farne le spese, secondo gli autori, saranno le foreste tropicali ricche di biodiversità  dell’Africa, Asia e Sud America dove si trova la biomassa più idonea rimasta.
Sono tanti i nuovi «padroni delle biomasse» impegnati a fare man bassa. Fra queste, imprese ad alta tecnologia come la Monsanto e Syngenta stanno fornendo nuovi strumenti per trasformare, misurare e sfruttare il mondo biologico, contribuendo a fare dell’informazione genetica una merce. Aziende farmaceutiche, chimiche e del settore dell’energia tra cui DuPont, Basf, Shell, Bp ed ExxonMobil sono pronte a interagire con i nuovi «bio-imprenditori» per cambiare i loro processi di produzione e di approvvigionamento delle materie prime. 
Società  di servizi finanziari e banche d’investimento come Goldman Sachs e JP Morgan stanno elaborando nuovi titoli agganciati a questo mercato. E aziende come Procter & Gamble, Unilever e Coca-Cola utilizzano nella formulazione di prodotti o packaging materie prime provenienti da fonti rinnovabili allo scopo di lanciare o rilanciare alcuni loro prodotti sfruttando l’onda del «green».


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