Vitalizi, l’ultima resistenza della politica
ROMA – Fuga dalla tagliola sui vitalizi. Il gruppetto di onorevoli ardimentosi – pronti a sfidare gli umori anticasta di un Paese sotto stangata – dicono sia formato da una ventina tra deputati e senatori. Secondo altri anche meno. Intenzionati a dimettersi prima di fine anno pur di non incappare nello scivolo forzoso che dal primo gennaio li costringerebbe ad attendere i 60-65 anni per la pensione aurea old style.
Il tam tam risuona in Transatlantico per tutto il giorno, capannelli di deputati, alcuni si lamentano a voce alta al telefono (forse con colleghi) della decisione assunta dai presidenti Schifani e Fini col ministro al Welfare Fornero, due giorni fa: «Ma ti pare che dobbiamo attendere altri dieci anni?» Nessuno di loro per ora vuole uscire allo scoperto, chi viene avvicinato e interpellato nega qualsiasi coinvolgimento nell’operazione «fuga per il vitalizio». Non tira aria, alla vigilia della stretta governativa per i comuni mortali, per i parlamentari che hanno già maturato il diritto al vitalizio con le vecchie regole e che hanno raggiunto o stanno raggiungendo la soglia minima di età di 50 o 55 anni. Se si dimettessero prima del 31 dicembre, in teoria, potrebbero beneficiare ancora del vecchio regime favorevole. E scansare contributivo e scivolo ai 60 e più. Ma in teoria, appunto. Il capogruppo Pd Dario Franceschini mette già in guardia: «Se qualcuno pensa di ricorrere ad una furbizia del genere, basterebbe molto semplicemente che l’aula gli respinga le dimissioni».
Tra i più agitati, soprattutto alcuni i leghisti. Il tema sarebbe stato al centro del colloquio tra il capogruppo Reguzzoni e quello Pdl Cicchitto, che però avrebbe negato qualsiasi sponda alla rivolta. Il malessere c’è e si sente, in Parlamento. Accesa discussione già in conferenza dei capigruppo, ieri mattina, a Palazzo Madama. Maurizio Gasparri dice di non aver gradito affatto la presenza del ministro del Welfare al vertice coi presidenti di Camera e Senato in cui è stata decisa la stretta. Se la prende col ministro Giarda, presente al fianco di Schifani: «Ok coi tagli ai vitalizi, ma adesso tocchi a bancari e accademici. E vogliamo sapere da voi ministri a quanto ammontano le indennità , a quanto le liquidazioni dai vostri precedenti incarichi». E preannuncia a giorni una mozione sui conflitti di interesse nel nuovo governo. Il responsabile dei Rapporti col Parlamento resta impassibile. Il presidente del Senato difende la scelta: «Abbiamo voluto dare un segnale di sobrietà e rigore alla vigilia di una manovra che si annuncia rigorosa per i cittadini». La protesta però approda nelle aule. Alla Camera, il “responsabile” Mario Pepe solleva il caso a fine seduta: «Il governo riferisca sull’incontro segreto tra presidenti e ministro, si può risparmiare sulla politica, ma questa è la maniera più ingiusta». Al Senato, Cinzia Bonfrisco non nasconde di aver accolto «con particolare dispiacere» la svolta. Altri, come il suo collega Antonio Paravia, ne fa una questione di metodo: «È passato il messaggio che un membro del governo è venuto a commissariare il Parlamento». Roberto Maroni non ci sta, sostiene che il giro di vite «è giusto e l’ha fatto il Parlamento, non il governo Monti». La sua ex collega di governo Giorgia Meloni rincara: «Bene il passaggio al contributivo, ma occorre intervenire anche su chi già percepisce il vitalizio». E come lei un’altra giovane deputata Pdl come Nunzia Di Girolamo. Insoddisfazione trasversale, se anche per Di Pietro quello sui vitalizi è un «provvedimenticchio».
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