Carceri: continua a regnare la confusione sul problema della giustizia

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Sui temi della giustizia continua a regnare incontrastata la confusione. Una situazione che non aiuta a risolvere uno scenario sempre più complicato. Il decreto “svuotacarceri” proposto dal guardasigilli Paola Severino non può certo essere accolto come una misura rivoluzionaria. Il provvedimento avrà  infatti una portata quasi insignificante.
Un’analisi condivisa da diversi esponenti politici e dai sindacati del corpo di Polizia penitenziaria. Invece il capo del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria ha preferito assumere una linea apologetica nei confronti dell’esecutivo.
Franco Ionta ha ridimensionato le dichiarazioni dei sindacati di Polizia e di alcuni rappresentanti dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. Organizzazioni che hanno sottolineato la pericolosità  di sostituire la custodia in carcere degli indiziati di reato con la loro permanenza presso le camere di sicurezza di Questure o stazioni dei Carabinieri. Tali strutture sono infatti ben poche e la sorveglianza verrebbe affidata a personale non addestrato per questo compito. Una soluzione all’italiana che potrebbe – paradossalmente – aggravare una situazione già  difficile. “Per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri è necessario lo sforzo di tutte le forze di polizia”, ha invece dichiarato Ionta durante l’audizione in Commissione giustizia del Senato. “Capisco le resistenze delle altre forze di polizia – ha aggiunto il magistrato – però ciascuno deve fare uno sforzo per consentire una deflazione del sistema penitenziario e, con un piccolo sforzo di tutte le forze di polizia, arrivare ad una gestione più ragionevole e dignitosa per i detenuti”. “Di fronte ad una situazione che vuole che l’arrestato – ha spiegato Ionta – sia nella disponibilità  della polizia giudiziaria che ha operato l’arresto e che soltanto a seguito di misure cautelare varchi le porte del carcere invece si assiste in molte zone dell’Italia ad un fenomeno opposto: la gran parte finisce nelle strutture penitenziarie, pochissime invece vengono trattate come l’articolo 558 detterebbe di fare”. Insomma, all’improvviso il capo del Dap si è accorto di un abuso nella custodia cautelare. C’è però un particolare che non dovrebbe sfuggire ad un giurista del suo calibro. La custodia cautelare in una camera di sicurezza è pur sempre una privazione della libertà  dell’individuo. Poco importa se questa viene perfezionata tra le mura di una stazione dei Carabinieri di provincia e nelle celle di isolamento di un carcere di massima sicurezza. C’è poi un altro dettaglio non trascurabile che non sembra rientrare tra gli argomenti del numero uno del Dap. Le persone ristrette nelle camere di sicurezza sono quelle colte – nella quasi totalità  dei casi – in flagranza o quasi flagranza.
Condizione che permette l’arresto – spesso obbligatorio secondo il dettato del codice penale – agli agenti o agli ufficiali di polizia giudiziaria. Il vero problema è nell’abuso di carcerazione preventiva da parte della magistratura. Misura spesso usata per spingere l’indagato a collaborare, un fine che non è certo contemplato dalla norma e non era nelle intenzioni di chi varò la grande riforma del codice di procedura. Senza una riforma dell’articolo che regolamenta la custodia non si andrà  molto lontano e non si risolverà  il problema del sovraffollamento.
Una necessità  che non sembra condivisa dai componenti della commissione Giustizia della Camera, dove però l’aula presieduta dall’avvocato di Fli Giulia Bongiorno dovrebbe occuparsi della discussione sulla legge per riformare la normativa sulla gestione… dei condomini. Occorre trattare delle carceri: non è certo un problema di ordinaria amministrazione.


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