Dai manager alle auto blu, via ai tagli

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ROMA — La linea di Mario Monti sui costi della politica è già  tracciata. Ne ha dato un assaggio a fine anno con una circolare molto severa inviata a tutta la pubblica amministrazione con la lista dei numerosi tagli da adottare, dalle missioni delle strutture pubbliche alle auto blu. Ma in attesa delle decisioni che prenderà  il Parlamento su se stesso, e cioè sugli stipendi di deputati e senatori, tema che Palazzo Chigi «non può» affrontare direttamente, arriveranno presto altri segnali «pesanti» su tutto il resto della macchina statale, là  dove invece il presidente del Consiglio «può» e «vuole» intervenire. E lo farà  già  nei prossimi giorni, per dare il segnale che l’argomento gli interessa, eccome, e che se invece gli altri, intesi come parlamentari, non prenderanno misure ritenute adeguate, lui invece partirà  subito con le forbici per aggiustare in fretta alcuni disequilibri.
Prima di tutto gli stipendi dei manager di Stato e degli alti dirigenti del pubblico impiego, a partire da quelle cariche che arrivano a produrre emolumenti da capogiro, ben più alti di quelli dei parlamentari, per non parlare delle rispettive liquidazioni. È in gran parte pensando a questa voce di spesa, che era stata già  discussa e ipotizzata per la manovra di fine anno, che il premier ha detto ieri al Sole 24 Ore che «prenderà  presto misure forti». Anche perché non cessa mai di ricordare che alcuni suoi ministri, che presentavano cumuli di retribuzione, hanno già  provveduto a rinunciarvi. A dar man forte all’azione di governo sarà  la commissione Giovannini sugli stessi costi della politica che non ha terminato il suo lavoro di comparazione con le retribuzioni degli altri Paesi europei: dopo le anticipazioni di fine anno sui parlamentari, continuerà  il suo lavoro nei prossimi mesi concentrandosi su numerosi enti e uffici pubblici e non solo su Camera e Senato.
Il secondo segnale che intende inviare Palazzo Chigi sul fronte dei costi della politica è quello del rigore interno alla publica amministrazione. E anche della severità . Perché ai responsabili dei vari ministeri non è sfuggito un passaggio fondamentale di quel testo del 30 dicembre, firmato da Monti come ministro dell’Economia ad interim. E cioè che il ministero «vigilerà  sull’osservanza da parte degli enti delle direttive governative che mirano al contenimento e al monitoraggio della spesa pubblica, segnalando eventuali inadempimenti ai competenti uffici del ministero». In altre parole, ci sarà  una commissione di controllo della spesa di ogni dicastero che avrà  il compito di «segnalare» chi non rispetta le regole. Dopodiché si potrebbe anche passare alle sanzioni. La lista, lunga 36 pagine, degli impegni da rispettare «per la riduzione delle spese diverse da quelle obbligatorie e inderogabili» va dalla stretta sugli incarichi onorifici (gettone di presenza al massimo di 30 euro), fino ad una diminuzione dell’80 per cento delle spese per relazioni pubbliche e convegni e alla riduzione delle missioni e delle auto-blu (il cui censimento terminerà  il 20 gennaio).
Il terzo capitolo riguarda gli affitti della pubblica amministrazione. Si tratta di circa un miliardo di spesa l’anno. L’idea è quella di trasferire gli uffici pubblici che non risiedono in immobili dello Stato in strutture appartenenti al Demanio (ad esempio le caserme dismesse). È vero che si tratta di un’operazione complessa e che porterebbe a benefici concreti solo dopo tre-quattro anni (a causa del trasloco tecnico e umano da realizzare), ma se finora non è stata fatta è per controindicazioni politico-elettorali (per le reazioni di chi sarebbe oggetto del provvedimento). Un governo tecnico potrebbe invece farcela.
Quarta voce, quella legata all’abolizione delle Province: per ora è stata, di fatto, bloccata, ma la Presidenza del Consiglio intende effettuare ulteriori controlli sui risparmi effettivi dell’operazione e riaprire, in tempi brevi, il discorso con le parti interessate. Resta congelato al momento anche l’assetto della Protezione Civile. Anche su questa struttura si intende operare una verifica dei costi, pure se non necessariamente con il passaggio alle dipendenze del Viminale, ipotizzato all’inizio del governo Monti.
Infine Palazzo Chigi: lo spending review di quest’anno fissa le spese a 2 miliardi e 413 milioni di euro, vale a dire 486,8 milioni in meno rispetto all’anno scorso: un meno 16,7 per cento che Mario Monti vuole far valere di fronte alle inevitabili resistenze che potrà  incontrare la sua riforma in non pochi settori della complessa macchina statale.


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