Recessione in Germania e Nord Europa bund a tassi negativi, segno di deflazione

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ROMA – La recessione sta risucchiando l’Europa e, a quanto pare, non si salva nessuno. Un rallentamento dell’area euro era, infatti, scontato e previsto: si stima che, complessivamente, l’economia europea si ridurrà , nel 2012, dell’1,5 per cento. Tuttavia, andando a guardare più da vicino i dati, si vede che l’ombra della crisi copre non solo i paesi deboli – Grecia, Irlanda, Portogallo, Italia e Spagna – già  investiti dal ciclone dei debiti pubblici e dalla stretta dell’austerità . Ma si allunga anche sui paesi cosiddetti forti, quelli del Nord Europa, compresa la Germania che, fino ad oggi, era sembrata marciare a pieno regime. Una convergenza in negativo che, però, può cambiare le carte al tavolo dei vertici europei e favorire una svolta nella scelta delle ricette contro la crisi degli ultimi due anni: in particolare, convincendo i tedeschi che l’austerità  dei bilanci pubblici non è la risposta a tutti i mali. 
Anche la locomotiva tedesca, infatti, sembra destinata a segnare il passo. Una panoramica delle previsioni di un ventaglio di banche sull’economia tedesca nel 2012 indica che quasi tutti prevedono, per quest’anno, un più che vistoso rallentamento. Nei primi tre mesi del 2012, anzi, ci dovrebbe essere una vera e propria recessione, con un Pil inferiore a quello dell’ultimo trimestre 2011. Ma, poi, l’economia non ripartirà , avvitandosi in un sostanziale ristagno. Anche i più ottimisti – come gli analisti di Unicredit e di Allianz – prevedono, infatti, una crescita non superiore all’1%. Mentre il grosso – da Citigroup a Morgan Stanley, da Goldman Sachs a Commerzbank a Deutsche Bank – prevedono, per l’intero anno, uno sviluppo zero o allo 0,1 per cento. La Hsbc arriva a stimare l’effettiva contrazione, dello 0,3 per cento, di una delle più forti economie del mondo. 
Il caso tedesco non è isolato. Tutti i paesi forti – il Nord dell’euro – che, finora, si sono opposti a politiche dichiaratamente antirecessive ed espansionistiche, in nome della disciplina di bilancio, si trovano ad affrontare i venti della crisi. Per la Francia, le previsioni ufficiali, che molti ritengono ottimistiche, sono di una riduzione del Pil dello 0,2% negli ultimi mesi del 2011 e, poi, ancora dello 0,1 fino a marzo, con una disoccupazione che risale al 9,6%. Ma va anche peggio nei paesi più vicini alla Germania, nella custodia dell’ortodossia monetaria. In Olanda, il Pil dovrebbe ridursi dello 0,5%, con 90 mila disoccupati in più (il 5,25 per cento della forza lavoro). In Finlandia, l’economia – che, ancora nelle previsioni dello scorso settembre, sarebbe dovuta crescere dell’1 per cento – si contrarrà , invece, dell’1,5 per cento e i disoccupati arriveranno all’8,5 per cento. L’Austria che, nel 2011, era cresciuta di oltre il 3%, dovrebbe scontare una contrazione dello 0,5 nei prossimi dodici mesi.
E’ possibile che le improvvise difficoltà  spingano i paesi del Nord Europa a stringere ulteriormente i cordoni della borsa dei piani di salvataggio dell’euro e dei paesi deboli. I dati spingono, però, in direzione opposta. La recessione nel Nord Europa indica, infatti, come siano ormai collegate le economie dell’area euro. I 17 paesi della moneta unica sono, infatti, un’area relativamente chiusa, in cui il grosso delle esportazioni avviene all’interno. Il crollo della domanda, indotto dai programmi di austerità  nei paesi deboli, sta compromettendo anche l’export dei paesi forti. Lo si vede in Germania, in Austria. Per il 2012, la Francia prevede uno sviluppo zero delle esportazioni. Ma non è l’unico segnale. Ieri, l’asta dei titoli tedeschi a sei mesi ha permesso alla Germania di collocare quasi 4 miliardi di euro ad un tasso negativo: meno 0,01%. In altre parole, gli investitori hanno pagato di tasca propria per poter avere i titoli. La scorsa settimana, l’Olanda aveva collocato titoli a tre mesi a tasso zero. E’ l’ennesima prova della corsa degli investitori verso il rifugio dei titoli sicuri. Ed ha suscitato l’ironia di molti operatori, pronti a confrontare l’asta dei Bund con quella, contemporanea, con cui la Grecia ha collocato titoli a sei mesi ad un tasso vicino al 400 per cento. Ma è anche un segnale negativo: tutto il sistema dei tassi di interesse tedeschi sta scendendo, pericolosamente, verso lo zero. E’ il sintomo di un rischio crescente di deflazione.
Fra recessione in atto e ombre di deflazione, cosa può cambiare nella politica europea? Anzitutto, l’allargarsi della crisi può mettere in evidenza i rischi di un’austerità  generalizzata e aiutare chi, come il presidente del Consiglio italiano, Mario Monti, insiste perché, nella gabbia dei vincoli di bilancio che si stanno per istituire, si tenga conto degli effetti temporanei della recessione sui conti e, in particolare, si svincoli la spesa per investimenti. In secondo luogo, può indurre Berlino ad allentare le briglie sulla propria economia, stimolando una domanda che benefici le esportazioni degli altri paesi. Infine, può ampliare i margini di manovra di Mario Draghi. Un nuovo taglio dei tassi (dall’1 allo 0,5%) potrebbe arrivare prima di quanto si pensasse e una politica più attiva di intervento sui mercati potrebbe apparire opportuna anche ai più riluttanti, visto che, fra recessione e deflazione, i rischi di una fiammata inflazionistica appaiono lontani.


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