Unicredit perde un altro 17% in Borsa

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MILANO – Il secondo giorno dell’aumento Unicredit si rivela peggiore del primo. Il titolo, pur con diverse sospensioni, ha chiuso con una perdita del 17,27% scendendo fino a 4,48 euro e toccando i livelli del lontano 1992. Ma è stato tutto il comparto bancario europeo, ieri, a essere fortemente sotto pressione, con gli istituti francesi in calo del 7-8% e quelli spagnoli del 5-7%. In più i mercati hanno dovuto fare i conti con le voci di un inasprimento ulteriore dei criteri dell’Eba, l’autorità  bancaria europea, che sta imponendo cospicui rafforzamenti del capitale, le voci su un nuovo possibile aumento di Deutsche Bank e il fallimento dell’asta di titoli di stato in Ungheria. Detto questo, anche all’interno di Unicredit sono rimasti sorpresi dall’ampiezza delle vendite, dopo il meno 14% dell’altroieri, con volumi in crescita da 40 a 60 milioni di pezzi. Di certo non sta aiutando il fatto che vi sono tre giorni di tempo per gli operatori per prendere in prestito i titoli andando a pareggiare la posizione con l’acquisto dei diritti solo da lunedì in poi. Pesa, comunque, il fatto che si devono collocare 7,5 miliardi di nuove azioni su una capitalizzazione ormai inferiore ai 10 miliardi. Una diluizione del 60% per i vecchi azionisti che non volessero seguire l’aumento. E chi dovrà  seguirlo non è poi così convinto. Le dichiarazioni esplicite fatte dagli azionisti forti sono pari a poco più del 10% ma i vertici di Unicredit sperano che tutto il 24% alla fine risponda all’appello, se non altro per continuare a esprimere il prossimo consiglio di amministrazione che verrà  rinnovato a maggio. Da lunedì si cercherà  poi di capire come si comporterà  il popolo del retail, i piccoli azionisti che hanno in portafoglio il 20% circa del capitale della banca. La metà  di questo si stima sia custodito presso filiali Unicredit su cui è in corso una massiccia campagna di convincimento. Ma la preoccupazione a questo punto arriva da quel 50% del capitale che comunque è in mano agli investitori istituzionali e che sta mostrando segni di cedimento. Anche i fondi potrebbero non avere i soldi per seguire l’aumento oppure non vogliono intaccare la quota di liquidità  nel proprio portafoglio che oggi mediamente è intorno al 50%. Dalla banca è poi stata segnalata alla Consob una massiccia attività  di prestito titoli e trading da parte di operatori che fino a questo momento non erano mai stati molto attivi su Unicredit. E l’autorità  guidata da Giuseppe Vegas ha acceso il classico faro per verificare l’origine di tale attività . «Chi sta vendendo oggi crede che vi sarà  inoptato», dice un operatore che segue il titolo Unicredit. E tra gli analisti cominciano a emergere critiche al piano industriale messo a punto dal management, considerato troppo poco aggressivo sul lato del taglio dei costi. Inoltre viene considerato un errore non aver venduto prima della fine dell’anno alcuni asset e aver affidato tutta la ricapitalizzazione al mercato. Gli unici che non sembrano preoccuparsi in questo momento sembrano le banche del consorzio di garanzia, molto ben remunerate (250 milioni) per assicurare il buon esito dell’operazione. Alla fine, infatti, come è successo per Bpm, qualcuno i diritti se li porterà  via, al limite all’asta dell’inoptato, grazie al prezzo estremamente conveniente per i nuovi sottoscrittori. Chi mastica amaro, invece, sono i vecchi azionisti che hanno visto i loro titoli perdere tanto nel 2011 e a cui ora viene chiesto un nuovo esborso per non diluirsi. Uno sforzo che molti non sono più disposti a sopportare.


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