Vacanze-regalo nella suite Il sottosegretario lascia

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ROMA — Alla fine quei soggiorni extralusso gratis all’Argentario sono costati molto cari a Carlo Malinconico: la poltrona di sottosegretario di Stato con delega all’editoria. Incarico che ora, secondo indiscrezioni, potrebbe passare nelle mani del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Informazione Paolo Peluffo.
«Mi auguro che questo mio gesto del tutto spontaneo rassereni il clima generale e contribuisca al proficuo proseguimento dell’impegnativa azione di governo», dichiara nel commiato Malinconico. Quasi a voler fugare le voci di un suo tenace, quanto inutile, tentativo di resistenza. Una cosa è certa: l’incontro «chiarificatore» di ieri mattina a Palazzo Chigi con il presidente del Consiglio, Mario Monti, non ha dissipato i dubbi sulla vicenda, come promesso da Malinconico. Quelle vacanze nella suite mozzafiato dell’hotel «Il Pellicano», pagate da Francesco De Vito Piscicelli per conto di Angelo Balducci, indagato con la cricca del G8, diventavano difficili da ignorare. E alle richieste di dimissioni ieri si univa anche l’Idv di Antonio Di Pietro.
Le spiegazioni fornite da Malinconico di aver «appreso solo ora» che Piscicelli, l’imprenditore della telefonata con la risata sul terremoto, «avrebbe pagato di propria iniziativa e per ragioni del tutto ignote» alcuni dei suoi soggiorni e di non aver «mai fatto favori» come contropartita, non aiutavano affatto. L’annuncio che le avrebbe pagate ora, a distanza di quattro anni, non aveva disinnescato l’imbarazzo. A fronte di quello che Malinconico definisce il «crescente attacco mediatico che mi ha coinvolto, mio malgrado».
Critiche che avevano accomunato il suo caso ad un altro che il governo ritiene «totalmente diverso»: quello del ministro della Funzione Pubblica, Filippo Patroni Griffi, e della sua casa vista Colosseo riscattata come «immobile non di pregio» in una cartolarizzazione. Anche con lui il presidente Monti ha avuto un incontro ieri mattina, prima di vedere Malinconico. Ufficialmente già  fissato per parlare del ddl anticorruzione. Ma non è da escludersi che si sia discusso anche di questo.
La linea soft ha caratterizzato anche l’addio di Malinconico. In una nota di Palazzo Chigi si attribuiva a lui stesso, ieri, il desiderio di lasciare per «poter meglio difendere la propria immagine e onorabilità » e «salvaguardare la credibilità  e l’efficacia dell’azione del Governo». Intenzione messa nero su bianco nella lettera consegnata a Monti. Al sottosegretario l’onore delle armi di Monti: l’«apprezzamento per il senso di responsabilità  dimostrato nell’anteporre l’interesse pubblico ad ogni altra considerazione» e il ringraziamento «per il suo contributo al lavoro del Governo, pur nella brevità  del suo incarico».
Dopo l’addio, a Malinconico giungono molti riconoscimenti. Il ministro Piero Gnudi si dice «dispiaciuto». Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, che aveva sollecitato «spiegazioni», apprezza il «gesto responsabile da parte di chi ha deciso di far prevalere il pubblico interesse». Scelta «degna di grande rispetto e considerazione» anche per l’Udc Lorenzo Cesa. Per il Pdl Gianni Alemanno le dimissioni sono «un segno di stile». Per Franco Siddi, segretario Fnsi, confermano «la sua sensibilità  istituzionale e umana» mentre il sindacato dei giornalisti chiede che ora il governo «nomini una personalità  competente». Apprezza anche Di Pietro che considera le dimissioni «un atto dovuto che rischiava di arrivare in ritardo».


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