Espulso dal gruppo del Pd il tesoriere dei 13 milioni spariti

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ROMA — «Escluso» dal gruppo del Pd. Il primo provvedimento nei confronti di Luigi Lusi lo prende l’ufficio di presidenza del Partito democratico del Senato, all’unanimità . Fuori dal gruppo, ma non dal partito né da Palazzo Madama. Per questo, occorrerà  aspettare le decisioni della commissione di garanzia. Ma derubricarla a una questione formale di sanzioni sarebbe riduttivo. Perché la vicenda che coinvolge il tesoriere della Margherita, accusato di aver dirottato per fini personali 13 milioni di euro del partito, rischia di avere ripercussioni ben superiori. Ieri Lusi, che ha ammesso l’appropriazione indebita, ha depositato in procura una bozza di fidejussione bancaria che copre cinque milioni di euro. In cambio della restituzione (molto parziale) della cifra, propone il patteggiamento di un anno della pena. Soluzione che i pm non sembrano ritenere soddisfacente (tre anni è la pena massima), ma si aspetta anche una valutazione dei vertici della Margherita. 
In Transatlantico il clima nel centrosinistra è plumbeo. Poca voglia di scherzare, pochissima voglia di parlare pubblicamente. La vicenda ha risvegliato la rivalità  tra ex Margherita ed ex Ds, ma è troppo scivolosa per provocare liti aperte. La divisione dei beni dei due partiti, dai quali è nato il Pd, è frutto di un accordo complesso e che ha lasciato non pochi strascichi polemici. Pierluigi Castagnetti prova a sdrammatizzare, citando Mino Martinazzoli: «I democristiani, diceva, rubano per sé ma dicono di farlo a favore del partito. I comunisti rubano per il partito, ma sostengono di farlo per sé».
In Transatlantico le domande sono sostanzialmente due. Possibile che nessuno nella Margherita si sia accorto della raffica di bonifici di Lusi? Possibile che ne fosse all’oscuro Francesco Rutelli, presidente della Margherita? Arturo Parisi nicchia: «Possibile? Quella è una valutazione personale». Che non ha nessuna voglia di fare pubblicamente, anche se proprio il fondatore dell’Asinello a suo tempo è stato il primo a parlare di «opacità » per alcune voci di bilancio. Dubbi che non sono stati sciolti. Perché non insistere? «Ho insistito, hanno rimandato a fine anno le risposte. C’è comunque un Comitato di controllo sulla tesoreria che avrebbe dovuto verificare i conti». Comitato formato da un uomo per corrente o quasi. «Nient’affatto — ribatte a distanza Ivano Strizzolo, componente di quel Comitato e attuale deputato Pd — Si tratta di un organo politico di indirizzo. Valuta come procedere per l’utilizzo dei fondi nel futuro, dalla gestione dei dipendenti al quotidiano Europa. Piuttosto la vigilanza spettava al collegio di revisione dei conti, tre commercialisti scelti dall’Assemblea». 
Che uso è stato fatto dei soldi della Margherita? Solo case e fondi per le società  del tesoriere? Lusi avrebbe detto a Parisi che quattro milioni sono stati utilizzati per le primarie di Franceschini. Secca la smentita di Ettore Rosato, responsabile della campagna elettorale: «Il costo della campagna è stato di 249.000 euro. Le entrate sono state tutte derivanti da contributi volontari di singoli parlamentari e cittadini». Di fronte alla smentita, Parisi indietreggia: «La precisazione conferma la risposta che mi diede Franceschini». Dunque, sostiene Parisi, Lusi mentì. 
Comunque stiano le cose, sotto accusa non è solo Lusi ma la gestione personalistica e privatistica di denaro pubblico, affluito nelle casse di partiti in sonno dal 2008. La Margherita, ma anche i Ds. Ugo Sposetti, omologo di Lusi per i democratici di sinistra, è una sfinge e risponde a monosillabi: «In questi casi si applicano le virtù teologali». Solidale con Lusi? «Il tesoriere — risponde citando se stesso, in relazione a una vecchia polemica con l’ex tesoriere Pd Mauro Agostini — non si discute, si ama».
Alcuni, non tantissimi, chiedono ora l’espulsione di Lusi anche dal partito (tra loro Ignazio Marino). Non sarà  facile, visto che è prevista per statuto solo per reati gravissimi. Stefano Fassina chiede le sue dimissioni da senatore: proprio per sentirsi libero di chiederle, sostiene, rinuncerà  a subentrare a Lusi. Dopo di lui, in lista, c’è Brunella Ricci.
Ma si riapre anche il dibattito sulla gestione dei rimborsi elettorali (che Mario Staderini, segretario radicale, vorrebbe abolire). Il Pd, per volere di Walter Veltroni, è controllato da una società  di revisione indipendente (PriceWatherHouse Coopers). Per Rosy Bindi, però, «serve una legge di carattere generale, che vale per tutti». E che applichi, finalmente, a distanza di qualche decennio, l’articolo 49 della Costituzione.


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