Europa, Palazzi, montagne e aziende pubbliche Vecchio Continente vendesi a saldo

Loading

LONDRA – Iniziative del genere, fino a due-tre decenni or sono, avrebbero suscitato ondate di panico, sentimenti di umiliazione e proteste di massa: come quando Margaret Thatcher vendette ai privati le ferrovie britanniche. Stavolta, invece, sono in pochi a scandalizzarsi: casomai ci sarebbe da meravigliarsi – sembra essere la tipica reazione – se gli stati indebitati d’Europa provassero a tenerseli, tutti quei beni, con i tempi che corrono. «Il ragionamento è duplice», scrive il columnist Tom Bawden sul quotidiano Independent. «Da un lato la gente ritiene che sia meglio cedere ai privati un edificio o un servizio pubblico piuttosto che aumentare le tasse o tagliare l’assistenza sociale. E dall’altro, scoprendo sui giornali la lunga lista dei beni posseduti dallo stato, tanti cittadini si domandano: ma ne abbiamo davvero bisogno? A che cosa serviva esserne proprietari?».
I saldi dei “pigs”
L’elenco è impressionante. Il Portogallo ha venduto (alla Cina e all’Oman) la compagnia elettrica nazionale. L’Irlanda ha venduto la compagnia del gas, la compagnia aerea di bandiera Aer Lingus, l’azienda forestale Coillte e il National Stud, il più famoso allevamento di cavalli da corsa d’Europa (che da solo vale 1 miliardo di euro). La Grecia ha messo in vendita praticamente tutto quello che ha, tranne l’Acropoli di Atene: l’aeroporto internazionale della capitale e 38 aeroporti più piccoli, le compagnie dell’energia e del gas, i porti del Pireo e di Salonicco, la Banca Postale Ellenica, le autostrade, l’organizzazione che gestisce gli ippodromi e le corse dei cavalli, una quarantina di pregiati palazzi governativi, un tratto di fascia costiera più grande del principato di Monaco e ci sono trattative per cedere all’offerta giusta anche un po’ di isole, qualche pezzo di mare e il sole del Mediterraneo: è interessata ad acquistarlo un’azienda tedesca che vuole esportare energia solare (non è uno scherzo). Obiettivo finale: raggranellare almeno 50 miliardi di euro. La Spagna si prepara a vendere la compagnia nazionale dell’acqua potabile (3 miliardi e mezzo di euro) e la metropolitana di Madrid (2 miliardi). E fin qui ci siamo limitati a citare le svendite dei Pigs, come sono soprannominati i paesi più a rischio fallimento (Portogallo, Irlanda Grecia Spagna), appunto. Anche detti Piigs, con due “i”, per aggiungervi l’Italia, perlomeno finché la governava Berlusconi: ma il suo successore Mario Monti, per rimetterla in sesto, pare intenzionato a vendere davvero 9 mila edifici, beni pubblici, spiagge, fortini e perfino isole, fra cui decine di storici palazzi veneziani, oltre ad avere venduto il diritto di sponsorizzare il Colosseo e cancellato la candidatura a portare a Roma le Olimpiadi 2020, suscitando più applausi che fischi, considerati gli almeno 9 miliardi di euro che ci ha fatto risparmiare.
L’Europa in vendita
Ma gli altri, quelli che in teoria stanno un po’ meglio e rischiano meno il “default”? In realtà  sgomitano pure loro per svendere quel che possono. La Francia ha annunciato già  nel 2010 la messa all’asta di 1700 edifici pubblici, compresi castelli sulla Loira, palazzi parigini e addirittura il casino di caccia reale a La Muette. L’Olanda ha venduto al Cile, usati ma ancora in grado di volare, 18 cacciabombardieri F-16 Fighting Falcon (e se li avesse comprati l’Italia, invece di prenderne dei nuovi?). L’Austria sta provando a vendere due montagne, e non è uno scherzo neanche questo: il Rosskopf (2600 metri) e il Gross Kinigat (2700). La Lettonia, uno degli ultimi arrivati nella Ue, ha venduto per 2 milioni di euro alla Russia un’intera cittadina, dal poco invitante nome di Skundra-1: una città -militare dell’Armata Rossa sovietica, rimasta vuota dopo la fine dell’Urss. La Finlandia ha venduto il 33 per cento del Santa Park, parco giochi lappone che milioni di bambini considerano la casetta di Babbo Natale.
L’impero va in affitto 
La Gran Bretagna ha reso noto proprio la settimana scorsa che venderà  centinaia di ambasciate e palazzi di proprietà  del ministero degli Esteri e della Difesa, tra cui i consolati di Firenze e Venezia, che hanno già  chiuso l’anno scorso, varie caserme, la portaerei in via di smantellamento Ark Royal (qualcuno dice che l’acquisterà  un oligarca russo), 72 caccia Harrier, quelli che decollano in verticale. Il Regno Unito vende anche (per 85 milioni di euro) Admiralty Arch, l’Arco dell’Ammiragliato, splendido palazzo affacciato a Trafalgar Square: pare che se ne farà  un albergo di superlusso. «In tempi di crisi e tagli, dobbiamo risparmiare pure noi», commenta il ministro degli Esteri britannico William Hague, «abbiamo un portafoglio immobiliare di 5 mila edifici, per un valore complessivo di 2 miliardi e mezzo di euro, venderemo quello che non serve e andremo in affitto». Oppure Londra farà  semplicemente senza, come con i consolati chiusi in Italia: «Quello di Firenze era utile nel 19esimo secolo, quando la città  era piena di turisti inglesi e per andare all’ambasciata di Roma bisognava fare uno scomodo viaggio in carrozza. Adesso che la capitale è a un’ora di treno e per comunicare ci sono i telefonini, il consolato era un lusso eccessivo», confessa una fonte del Foreign Office.
I nuovi ricchi
L’unico dubbio, di fronte al «vendiamo tutto» dell’Europa, è sull’identità  dei compratori. Finché si tratta di investitori privati, bene. Ma qualcuno intravede un piano dei nuovi ricchi del pianeta, Cina e India, con gli sceicchi degli Emirati Arabi e l’emiro del Qatar a poca distanza, per comprarsi interessi vitali nel vecchio continente approfittando della crisi. Non è quello che facevano, d’altronde, le grandi potenze europee dell’Ottocento e primo Novecento nelle loro colonie del Terzo Mondo? La Storia gira anche così. Sicché quando lo Speaker della camera dei Comuni, John Bercow, ha recentemente ipotizzato di vendere il parlamento di Westminster e il soprastante Big Ben, perché restaurarli costerebbe troppo allo stato, si è subito sparsa la voce che lo avrebbero comprato i cinesi o i russi. Magari non succederà : ma nessuno ha riso. Non era una barzelletta.


Related Articles

Fiat, senza Chrysler rosso di 246 milioni

Loading

Marchionne: “A ottobre si deciderà  il futuro di Fabbrica Italia”

Sul reddito minimo un’occasione per Grillo

Loading

L’ iter parlamentare della legge di Stabilità si sta trasformando in un disordinato attacco alla diligenza. Come ai tempi della Prima Repubblica, vi è il rischio che il provvedimento finisca per premiare gli interessi dei più forti, a spese dei più deboli.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment