La Spagna non ci sta
MADRID. Buona la prima. L’appuntamento con la piazza si è rivelato un successo oltre le aspettative per i sindacati spagnoli: la mobilitazione di domenica ha visto l’adesione di centinaia di migliaia di persone. Cortei davvero imponenti a Madrid e Barcellona, e un’intensa partecipazione nelle restanti cinquantacinque città in cui si sono svolte le marce di protesta contro la «reforma laboral», approvata lo scorso 11 febbraio dal governo conservatore di Mariano Rajoy. La lotta è appena all’inizio, ma era fondamentale cominciare con il piede giusto: il risultato di domenica mostra che la partita è aperta, nonostante la crisi e la martellante campagna antisindacale degli influenti organi di stampa di destra. Il movimento dei lavoratori sembra aver la forza – insieme al Psoe e Izquierda Unida, presenti domenica in piazza – di contrastare la politica antisociale del Partido popular (Pp), attraverso una «mobilitazione crescente» sino allo sciopero generale.
Ieri, le confederazioni Unià³n General de Trabajadores e Comisiones Obreras facevano mostra di cercare il dialogo, invitando il governo a sedersi ad un tavolo negoziale e a prendere in considerazione una profonda modifica del provvedimento. Ma è molto difficile che ciò accada. Mentre la gente sfilava nei cortei, Rajoy teneva il discorso di chiusura del XVII congresso del Pp, in cui ha difeso a spada tratta la «riforma», definendola «giusta e necessaria», perché concepita per «dare risposta ai disoccupati». L’argomento-chiave non è certo nuovo: abbattere le «rigidità » del mercato del lavoro serve al rilancio dell’attività economica e all’occupazione. La superstizione neoliberista in salsa spagnola si traduce nel rendere molto più facile il licenziamento giustificato (basterà addurre una diminuzione di introiti per nove mesi consecutivi) e meno costoso l’indennizzo per licenziamento irregolare (da 45 a 33 giorni per anno lavorato). Ma c’è di peggio: nasce un nuovo tipo di contratto «per facilitare l’impiego stabile», valido per le imprese con meno di 50 addetti, che prevede per il primo anno la possibilità di disfarsi del lavoratore senza alcun tipo di motivazione né risarcimento. Il tutto condito con generose (per i padroni) «riduzioni del costo del lavoro».
Nelle manifestazioni di domenica il rifiuto di queste misure si univa a quello dei tagli ai finanziamenti allo stato sociale, compiuti sia dall’amministrazione centrale che da quelle regionali. A Madrid era molto visibile la presenza di insegnanti e operatori della sanità , da mesi in prima linea contro la politica di privatizzazione.
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