L’ordine inascoltato: in quel porto non dovete entrare

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La Marina italiana aveva raccomandato di non assecondare le richieste delle autorità  indiane e di non far scendere a terra i nostri militari. Ora si tratta di capire chi sia stato a decidere di far entrare nel porto di Kochi la Enrica Lexie. Anche per rispondere a questo interrogativo i carabinieri stanno acquisendo la documentazione presso i comandi militari e la società  armatrice. La terza raffica di avvertimento «è stata sparata in acqua, a prua del peschereccio che non è stato colpito, tanto che ha invertito la rotta e si è allontanato». Così, nella relazione trasmessa due giorni fa ai carabinieri del Ros e alla Procura di Roma, Massimiliano Latorre ricostruisce i momenti cruciali del conflitto a fuoco avvenuto al largo delle coste indiane, relazione che indica gli autori della sparatoria. E nega che l’azione abbia potuto provocare feriti, tanto meno vittime. Era lui il capo del «nucleo di protezione» imbarcato sulla petroliera Enrica Lexie per contrastare gli atti di pirateria. E proprio lui — adesso accusato insieme con Salvatore Girone dell’omicidio di due pescatori che erano a bordo del St. Antony — firma il rapporto con foto allegate, che servirà  al pubblico ministero Francesco Scavo Lombardo a verificare quanto accaduto. Nel fascicolo sono contenute le testimonianze degli altri cinque soldati presenti a bordo e le conclusioni del responsabile del team. Sono ancora numerosi i dubbi che avvolgono la vicenda, le incongruenze tra la versione fornita dai militari italiani e quella delle autorità  di New Delhi. E ruotano attorno a tre misteri: l’orario dell’azione, il luogo esatto dove è avvenuta, l’imbarcazione che ha attaccato la petroliera. Ma c’è pure un altro interrogativo: perché, nonostante gli italiani abbiano comunicato di essere in acque internazionali, sono poi entrati nell’area controllata dagli indiani così consentendo il fermo dei due marò. E lo hanno fatto dopo il parere contrario espresso dalla Marina Militare.
Gli orari diversi
Secondo il report trasmesso a Roma l’allarme scatta alle 11.30 del 15 febbraio mentre la Enrica Lexie si trova a «33 miglia dalla costa sudovest dell’India». La posizione della nave è confermata dai dati forniti dal satellite, attivato da chi era a bordo ma viene contestato dalle autorità  locali. Anche gli orari non coincidono, visto che la polizia indiana colloca gli spari almeno due ore dopo. E questo ha fatto nascere l’ipotesi che i due pescatori siano stati uccisi in un diverso conflitto, anche tenendo conto che quella stessa sera risulta avvenuto un altro attacco di pirateria in un tratto di mare poco distante. 
Alla relazione Latorre allega tre fotografie che dovrebbero servire a dimostrare proprio questa divergenza: il peschereccio sarebbe infatti diverso dal St. Antony dei marittimi uccisi. Le immagini risultano però sfuocate, poco chiare e dunque non possono bastare a chiarire il dubbio. Né a confermare il fatto — sottolineato dal marò — che a bordo di quel natante non ci fossero pescatori, ma cinque uomini armati. 
Le tre raffiche
Per cercare di accertare la verità  si torna dunque ai momenti dell’avvicinamento. Secondo quanto riferisce il rapporto «è il radar a segnalare la barca che viaggia in rotta di collisione e i militari presenti a bordo si dispongono per reagire. Vengono messe in atto le procedure previste in questi casi. Quando il natante è a 500 metri di distanza vengono sparati i primi «warning shots», ripetuti quando si trova a 300 metri e infine a cento». Latorre specifica che gli ultimi vengono rivolti verso lo specchio d’acqua «senza colpire l’imbarcazione». Completamente diversa la ricostruzione fatta dalle autorità  indiane secondo le quali «sul peschereccio ci sono i segni di 16 proiettili, mentre quattro sono andati a segno e hanno ucciso i due marittimi». Una tesi ritenuta incredibile dalle autorità  diplomatiche e investigative italiane perché significherebbe che tutti i colpi a disposizione sono stati sparati ad altezza d’uomo. 
L’ordine non rispettato
In queste ore la magistratura sta valutando l’ipotesi di inviare una squadra investigativa in India, che lavori in stretto contatto con la diplomazia italiana. Le indagini sono affidate al colonnello del Ros Massimiliano Macilenti che sta già  acquisendo la documentazione presso i comandi militari e presso la società  armatrice anche per verificare se siano stati loro a decidere di far entrare nel porto di Kochi la Enrica Lexie. La Marina aveva espresso parere contrario, così come aveva raccomandato di non far scendere a terra i militari. E invece si è deciso di assecondare le richieste indiane. 
La procedura prevede che le decisioni a bordo siano prese dal comandante d’accordo con la Compagnia, ma generalmente in situazioni di emergenza ci si muove in accordo con le autorità  militari e con il governo italiano. Adesso bisognerà  dunque verificare se davvero sia stato l’armatore a ordinare di abbandonare le acque internazionali e con chi sia stata condotta la trattativa. Un negoziato che, al momento, si è concluso nel peggiore dei modi.


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