Portate via all’alba da casa dalla polizia o dopo una pena carceraria: ecco come si finisce al Cie

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ROMA – Angela, nome di fantasia, è stata svegliata alle sei del mattino del 18 gennaio dai poliziotti che bussavano con forza alla porta della casa dove dormiva a Montesilvano (Pe). Mostra la lettera con cui ha chiesto la protezione umanitaria, dopo l’ingresso nel Cie. Dice di essere fuggita due mesi fa dal Senegal, dove un marito violento, sposato perché costretta, la picchiava tutto il tempo e le ha rotto le costole. Ha lasciato i suoi sei bambini alla custodia della madre nel paese d’origine. Oltre alle vittime di violenza domestica, nel Cie di Ponte Galeria sono frequenti anche i casi di vittime di tratta. Secondo Maurizio Improta ci sono stati 15 casi nel corso del 2011.

Rajwinder è un’indiana sikh che ha 34 anni e dice di avere un marito con regolare permesso di soggiorno che vive a Brescia da 17 anni. Hanno anche la casa e dovrebbe avere il ricongiungimento familiare. Poi c’è Tatiana, una ragazza ucraina che è entrata nel 2008 con il decreto flussi per le badanti, ma aveva avuto un’altra espulsione nel 2002 con altre generalità . Il controllo delle impronte digitali ha mostrato che si tratta della stessa persona. Quindi le hanno bloccato il rinnovo del permesso a Salerno, dove lavora presso una famiglia italiana. Lei potrebbe chiedere la revoca della vecchia espulsione. “Ma non ho i soldi per pagare un avvocato” commenta la ragazza.
Infine ci sono le donne con vecchi precedenti penali. Maria è una dominicana di 43 anni, da 16 in Italia. L’ultimo contratto da badante a Terni. Ma quando è andata in questura a ritirare il permesso di soggiorno, non ne è più uscita. Trasferita a Ponte Galeria. “Voglio solo un aiuto per uscire di qua” dice anche lei. “Sono stata un mese in carcere due anni fa – racconta – per l’intestazione di una scheda telefonica a un’organizzazione e ho sbagliato perché ho patteggiato, non avevo soldi per andare avanti nel processo”. Per questa ragione le hanno rifiutato il permesso di soggiorno.

Sabina è una signora peruviana di 60 anni che dice di avere tre figli regolari in Italia e ha scontato una condanna in carcere di diversi anni per un’intercettazione telefonica che la coinvolgeva in un traffico di droga con dei familiari. Davanti ai microfoni racconta di avere problemi di salute. E vedere una persona anziana in un Cie lascia perplessi.  “Se non è pericolosa socialmente (per questo non basta una sola condanna) e ha dei figli o nipoti che sono cittadini italiani, la signora non è espellibile – spiega l’avvocato Ballerini – i Cie sono pieni di persone che escono dal carcere. Se una persona è stata in carcere voglio sperare che l’abbiamo identificata per scontare la pensa. Li vanno a prendere quando escono per metterli in un cie. Lo Stato deve dire cosa vuole fare con questa gente, perché se vuole può riportarli nel paese d’origine quando finiscono il carcere, così invece aggiungiamo 18 mesi di detenzione in più con il successivo trattenimento nel Cie”. (raffaella cosentino)

 

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