“Giusto dare stabilità  al lavoro precario sospendendo per tre anni l’articolo 18”

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Promossa a pieni voti l’ipotesi di sospendere per tre anni l’applicazione dell’articolo 18 per i nuovi assunti. Gli esperti della materia, giuslavoristi ed economisti del lavoro, la considerano una misura utile per cominciare a ridurre l’attuale dualismo del nostro mercato del lavoro. E’ un intervento che lascerebbe così com’è la norma dello Statuto dei lavoratori per chi ha già  oggi un’occupazione standard a tempo indeterminato, mentre ne posticiperebbe l’applicazione di alcuni anni soprattutto a chi da una condizione di precarietà  passerebbe a un rapporto di lavoro stabile. E nuovi assunti sarebbero, ovviamente, i dipendenti di una nuova azienda, italiana o estera. Il rischio, in quest’ultimo caso, è che le grandi multinazionali possano essere avvantaggiate rispetto alle aziende italiane già  operanti. Bene, infine, la ricerca di un’interpretazione autentica sul significato di “giusta causa e giustificato motivo”. 

Arturo maresca “Ma gli investimenti esteri hanno molti altri ostacoli”    


1) «Sicuramente è una formula efficace quella di sospendere l’applicazione dell’articolo 18 per le nuove assunzioni così da favorire i contratti a tempo indeterminato. Questo darebbe certezze anche alle aziende relativamente ai costi che devono sostenere in caso di interruzione del rapporto di lavoro. Restano alcuni punti interrogativi: riguarderebbe solo le prime assunzioni o tutti i nuovi contratti compresi quelli di coloro che passano da un’azienda ad un’altra? Sarebbe limitata ai soli casi di assunzioni che incrementano l’occupazione o no?». 
2) «Credo che per le start up sarebbe possibile, mentre per le multinazionali creerebbe una sorta di “aiuto di Stato al contrario”. E’ prevedibile una serie di ricorsi a Bruxelles. Sono preferibili soluzioni più semplici per evitare che si accresca il contenzioso. Si pensi al caso Fiat: la newco di Pomigliano d’Arco è una nuova azienda oppure si tratta di un trasferimento d’azienda? Davvero c’è il rischio di molti abusi».
3) «Oggi nessuno è in grado di dire quando un licenziamento è legittimo o illegittimo. Dipende dal giudice. Per esempio la Cassazione sostiene che non sia causa di licenziamento il furto di “modico valore”. Peccato che nessuno abbia mai stabilito a cosa corrisponda il modico valore».

Tiziano treu 
“Ridurre i tempi dei conflitti solo così gli stranieri torneranno”    


1) «Può essere una soluzione utile offrire una specie di scivolo ai datori di lavoro sospettosi. Non vedo perché, tuttavia, l’ipotesi della sospensione debba essere limitata ai lavoratori che da precari diventano stabili. Credo sia preferibile un periodo di prova per tre anni, trascorsi i quali si applica l’articolo 18». 
2) «Sono a favore delle leggi sperimentali. Se una sospensione dell’articolo 18 può favorire la creazione di nuove aziende, proviamo. Tuttavia sono tanti i problemi che rendono il nostro Paese poco attrattivo per gli investimenti stranieri. Bisognerebbe intervenire sui tempi dei conflitti di lavoro, farli durare sei mesi anziché sei anni. Le multinazionali temono le lungaggini dei processi più che il problema del reintegro». 
3) «Quella della giusta causa e del giustificato motivo è una delle tante clausole generiche che lasciano al giudice una libertà  interpretativa molto ampia. Nel caso dei licenziamenti, credo che anziché ricorrere a nuove norme si potrebbero utilizzare le soluzioni che in quasi tutti i contratti nazionali collettivi (dai metalmeccanici ai tessili) sono state specificatamente previste. Insomma, io affiderei la soluzione alle parti sociali e non al Parlamento».

Pietro ichino 
“Ci vuol altro per creare lavoro ma almeno si migliora la qualità ”    


1) «Per aumentare l’occupazione giovanile occorrono altre misure. Queste di cui stiamo discutendo servono invece per migliorarne la qualità , facilitando l’accesso al lavoro con un rapporto a tempo indeterminato. Oggi più di quattro quinti dei nuovi rapporti sono in forma di contratto a termine o di collaborazione autonoma. Tutti hanno da guadagnare da misure che puntino a invertire la proporzione, contrastando in modo efficace l’abuso delle collaborazioni e incentivando la stabilizzazione del contratto a termine».
2) «Per riaprire l’Italia agli investimenti stranieri è indispensabile una legislazione del lavoro semplice, allineata rispetto ai migliori standard internazionali. L’idea di offrirla in via sperimentale per i nuovi insediamenti, dove l’impresa sia disposta ad accollarsi i maggiori oneri per la protezione del lavoratore, mi sembra straordinariamente positiva». 
3) «In linea generale, affidare al giudice il controllo del motivo disciplinare del licenziamento non presenta particolari problemi. E’ invece sbagliato affidargli il controllo del motivo economico od organizzativo, che implica valutazioni estremamente opinabili, per le quali ai giudici manca la competenza».

Pietro garibaldi 
“Tutti hanno da guadagnare dal nuovo contratto unico”    


1) «L’idea di dare un percorso alla stabilità  del rapporto di lavoro uguale per tutte le nuove assunzioni, senza distinzioni per età , genere e dimensioni aziendali, rappresenta la soluzione più equilibrata e più efficace. E’ quello che insieme a Tito Boeri abbiamo chiamato il “contratto unico”. Secondo noi dovrebbe riguardare tutte le assunzioni e non solo i lavoratori che escono dalla precarietà . L’azienda avrebbe l’opportunità  di sperimentare un lavoratore per tre anni, durante i quali non sarebbe previsto il reintegro in caso di licenziamento senza giustificato motivo bensì un risarcimento economico il cui ammontare crescerebbe con l’aumentare degli anni di lavoro. E per il lavoratore si supererebbe lo psicodramma per l’attesa del rinnovo del contratto». 
2) «Sostanzialmente si tratta di un sottoinsieme dell’ipotesi del contratto unico a tutele crescenti. Sarebbero avvantaggiate le nuove imprese e i lavoratori. Ritengo, tuttavia, che sia riduttivo individuare nell’articolo 18 l’elemento che ostacolerebbe gli investimenti esteri in Italia».
3) «E’ utile tutto ciò che serva a semplificare. Bene, dunque, anche una norma interpretativa che riduca il tasso di incertezza. Va da sé che un compito di questo tipo spetti al Parlamento».


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