Il premier studia una “nuova fase” “Ora evitiamo scontri con i partiti”

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BELGRADO – «D’ora in poi mi aspetto che teniate tutti un basso profilo, concentrandovi esclusivamente sul merito dei provvedimenti. Si è aperta una fase nuova e dobbiamo stare attenti». Il «suggerimento» che molti ministri si sono sentiti ripetere ieri al telefono con il premier somiglia molto a un avvertimento.
Del resto anche in Serbia il pensiero fisso di Monti è rivolto a quel che accade a Roma, alle lacerazioni nella sua maggioranza. Ne fa cenno persino nella conferenza stampa con il presidente Tadic, paragonando lo «spread» in discesa a quello che si allarga fra i tre partiti che sostengono la sua maggioranza. Una battuta ad effetto che il premier ha studiato con cura, tanto da sussurrare all’orecchio del ministro Moavero, mentre entrambi scendono le scale del tetro palazzo titino della vecchia federazione jugoslava: «Hai visto Enzo che sforzo ho fatto per legare insieme le due cose?». Le «due cose»: ovvero lo spread – la missione del suo governo – e la litigiosità  dei partiti. Il primo può calare soltanto a patto che si abbatta anche la seconda.
Per questo il premier ha capito che è arrivato il momento di inaugurare una nuova strategia, un ministro arriva a definirla «una nuova fase», dopo quella della medicina amara e del Salva-Italia. È la «fase dell’ascolto». Ascolto dei partiti, dei singoli parlamentari, dei sindacati, ascolto persino del movimento No-Tav. Se la politica di palazzo Chigi non cambia, come non cambia la decisione di andare avanti sulla Tav, è invece l’atteggiamento che deve mutare.
Persino l’algido Vittorio Grilli, che da direttore del Tesoro era il «Signor No», due giorni fa è stato spedito da Monti alla Camera a trattare sui precari della scuola. La sua presenza nella sala del governo, per un vertice improvvisato con Bressa, Gelmini e Saglia, ha lasciato di stucco i presenti: «Sono qui – ha detto – per ascoltare. I saldi non si toccano, ma cerchiamo di risolvere insieme il problema». Ascolto e discrezione. Basso profilo. Una linea di condotta che sul decreto Semplificazioni ha dato i suoi frutti, portando l’Idv e la Lega a lasciare le barricate. Anche il ministro Andrea Riccardi, protagonista della prima, violenta, reazione di rigetto del Pdl, ha incassato il colpo dopo la rivelazione del suo «fuorionda» con la collega Severino. Ieri ci sono stati contatti con palazzo Chigi. E Riccardi si è mostrato «dispiaciuto» per come certi giornali avevano trattato la sua vicenda. «È un episodio – filtra dal governo – che non va enfatizzato, semmai il contrario. In questa fase, prima delle amministrative, conviene non prestare il fianco alle polemiche».
Monti non teme per la durata del governo, ma comprende che le fibrillazioni tra Pd e Pdl possono rallentarne o metterne a rischio l’agenda. Come è capitato sulla giustizia e la riforma della Rai. Anche di questo parlerà  oggi con Gianfranco Fini. A più d’uno, in particolare, il premier ha confessato la sua preoccupazione per la possibile «balcanizzazione» nel Pdl, diviso tra sostenitori del governo e pasdaran. Il fatto è che nel partito del Cavaliere l’insofferenza sta montando e i capigruppo fanno fatica a tenerla a freno. La fibrillazione è aumentata quando è iniziato a circolare un sondaggio secondo il quale ben il 78% degli elettori del centrodestra esprime disagio nei confronti del governo e «non apprezza» il suo operato. Una percentuale molto alta, in rapporto diretto con quel 19% che rappresenta la soglia più bassa mai raggiunta dal partito dalla sua fondazione a oggi. A un mese e mezzo dalle amministrative la tensione non è destinata a scendere. Tanto che nel governo qualcuno teme che possa anche mettere a rischio la vita dell’esecutivo. Perché fino al 2 aprile, in teoria, si possono sciogliere le Camere per andare al voto anticipato. «Chi coltiva questi disegni – mette in guardia il capogruppo di Fli Benedetto Della Vedova – se la dovrà  vedere non solo con Monti ma anche con noi. Perché è chiaro che chi vuole allearsi in futuro con il Terzo polo deve sostenere il governo fino alla fine. E questo vale sia per il Pdl che per il Pd».


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