L’articolo 18

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Licenziare un dipendente in caso di crisi – o meglio licenziarne uno alla volta – è più facile, più diretto, più semplice che doverne mandare a casa cinque in un colpo solo. Nel primo caso basta una lettera che ne dia comunicazione al singolo lavoratore e, in un primo tempo, non è nemmeno necessario che la comunicazione scritta specifichi con chiarezza i motivi di quella scelta (l’informazione va fornita solo su richiesta del lavoratore se ne fa domanda entro 15 giorni). Se invece il licenziamento è collettivo la procedura si complica: c’è l’obbligo di comunicazione preventiva a sindacati, alle associazioni di categoria e al ministero del Lavoro; e per i lavoratori in esubero è prevista la mobilità .
Tempi, burocrazia, confronti che risultano ridotti, se non aboliti, quando a «saltare» è il posto di un solo dipendente. In quel caso infatti non è necessario nemmeno dichiarare lo stato di crisi aziendale: basta comunicare la fine di una mansione (ma anche il suo affido ad una struttura esterna) o la chiusura di un reparto. L’unico limite sta nel fatto che non si possono licenziare individualmente più di quattro dipendenti in quattro mesi. 
Le differenze fra licenziamenti per motivi economici collettivi (cui possono far riferimento le aziende con più di 15 dipendenti) e licenziamenti per motivi economici individuali (ammessi per tutti) sono notevoli. Ma se – nel corso della trattativa in corso – passerà  la linea proposta dal governo salterà  quella più pesante: l’obbligo di far rientrare il dipendente al lavoro in caso di licenziamento illegittimo.
Le due formule fanno capo a due diverse leggi: quella sul licenziamento individuale è la 604/66. Nei casi di applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (quindi per le aziende over-15) se dichiarato illegittimo dal giudice, anche il licenziamento individuale oggi è sanato con il reintegro obbligatorio sul posto di lavoro (sarà  semmai il dipendente a decidere per l’indennizzo). La proposta Fornero elimina appunto questo passaggio e prevede che – anche in caso di illegittimità  – l’azienda sia obbligata al solo indennizzo. Se passasse questo disegno è chiaro che – soprattutto in caso di aziende non molto grandi – sarebbe più semplice abbandonare la strada del collettivo per seguire quella del licenziamento individuale. Non solo: come ha denunciato nei giorni scorsi Sergio Cofferati, ex leader Cgil, caduto l’obbligo di reintegro per il licenziamento economico individuale «nessun imprenditore licenzierà  per motivi disciplinari, dirà  sempre che è un problema di costi o di organizzazione». La proposta del governo infatti, nel caso di motivi disciplinari affida al giudice il compito di decidere fra reintegro e posto di lavoro. La possibilità  di doversi «riprendere» il lavoratore in quel caso dunque resta: perché rischiare?
Ora il punto resta uno dei più difficili della trattativa in corso. E ad oggi la soluzione comune non c’è. L’obiettivo del governo è chiaro: non facilitare i licenziamenti, ma renderli meno economicamente pesanti per le aziende. L’obiettivo dei sindacati è altrettanto netto: proteggere l’articolo 18, ma su quali e quanti debbano essere i gradi di protezione la trattativa è aperta. La Cgil ufficialmente non si muove dalla sua posizione iniziale. Niente manutenzione sull’articolo 18, solo la disponibilità  a ragionare sui tempi della giustizia (anche se pare che alcuni, nel sindacato, possano aprire alla possibilità  di far decidere, anche in questo caso, al giudice). Concentrazione totale sulla difesa dello status quo, dunque, anche perché – precisa Claudio Treves – «questa storia dell’ossificazione del mercato del lavoro non esiste: lo dimostra il fatto che già  oggi i licenziamenti individuali sono molto più numerosi di quelli collettivi». La Cisl, nei giorni scorsi, aveva proposto una mediazione: «Niente ricorso al giudice, perché contestare l’esistenza di una crisi è difficile: basta che l’imprenditore dichiari che il magazzino funziona con il carrello magnetico piuttosto che con quello manuale che il posto salta – spiega Giorgio Santini – meglio non esporre il lavoratore alla sconfitta». Semmai la Csil propone l’estensione anche al licenziamento individuale delle norme previste per quello collettivo (legge 223/91). E in caso di licenziamento illegittimo, rinunciare al reintegro a patto che al lavoratore siano riconosciuti (oltre al normale indennizzo) due anni di mobilità . Ma il nodo è tutto da sciogliere.


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