Pensioni, il nodo «esodati» Le risorse sono già  finite

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ROMA — I soldi stanziati dal governo per gli «esodati» non bastano già  più. Il tetto di 65 mila lavoratori sul quale i fondi (5 miliardi nei prossimi 7 anni) sono tarati sarebbe stato infatti già  sfondato e ciò fa temere che il numero complessivo di coloro che chiederanno di andare in pensione con le vecchie regole potrebbe alla fine salire fino a circa 200 mila. Il problema è sul tavolo del ministro del Lavoro, Elsa Fornero. 
Non sono più solo i sindacati a lanciare l’allarme, sostenendo che c’è il rischio concreto che decine di migliaia di lavoratori restino senza stipendio e senza pensione per effetto della riforma della previdenza. Nei giorni scorsi ci sono state le prime riunioni fra i tecnici del governo per valutare la situazione. Che appare più grave del previsto. In attesa del monitoraggio previsto dalla legge, che dovrebbe consentire di quantificare l’esatta dimensione del problema, è infatti emerso che sarebbe già  superato lo scenario ipotizzato a regime. Il decreto «salva Italia» ha stanziato 5 miliardi in 7 anni (si parte con 240 milioni per il 2013 che salgono fino a 1,2 miliardi nel 2016 per poi scendere fino a 300 milioni nel 2019), una cifra calcolata appunto stimando di dover mandare in pensione con le vecchie regole non più di 65 mila lavoratori: quelli che entro il 2011 hanno lasciato il posto in seguito ad accordi sindacali (stipulati entro il 4 dicembre) di ristrutturazione aziendale oppure per dimissioni volontarie incentivate in previsione del fatto che, secondo il vecchio regime, erano vicini alla pensione. Che poi, però, a causa della riforma si è improvvisamente spostata in avanti, in alcuni casi di 6-7 anni. Ecco che allora con lo stesso «salva Italia» e poi col decreto milleproroghe si è posto rimedio, stabilendo i casi in cui i cosiddetti «esodati» possono andare in pensione con le vecchie regole, anche se lasceranno il lavoro dopo l’entrata in vigore della riforma. Classico il caso degli accordi sulla messa in mobilità  per alcuni anni. 
Ora, in base ai primi calcoli dei tecnici, le varie fattispecie ammesse al beneficio (lavoratori in mobilità  e mobilità  lunga secondo accordi chiusi entro il 4 dicembre 2011; a carico dei fondi di solidarietà  di settore, tipo i bancari, oppure ammessi alla prosecuzione volontaria della contribuzione sempre entro il 4 dicembre scorso; «esodati» entro il 31 dicembre) hanno già  prodotto l’esaurimento del plafond previsto e produrranno a regime una valanga di domande, perché molti lavoratori, per esempio, matureranno i vecchi requisiti di pensionamento solo al termine dei 2-3 anni di mobilità . Senza contare che, secondo un ordine del giorno al Milleproroghe presentato da Cesare Damiano (Pd) ma condiviso anche da Pdl e Udc il governo dovrebbe spostare dal 4 al 31 dicembre anche il termine per gli accordi sindacali sugli esuberi, il che allargherebbe di molto la platea.
Insomma, un bel problema per l’esecutivo, tanto più che la trattativa sulla riforma del mercato del lavoro si è arenata proprio sulla difficoltà  di trovare risorse strutturali per l’estensione degli ammortizzatori sociali. Il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ha chiesto al Tesoro di «consolidare», cioè di rendere permanente quel miliardo e mezzo di euro che nel 2011 è stato destinato alla cassa integrazione «in deroga», ma è ancora in attesa di risposta. Cgil, Cisl e Uil, ieri in piazza per la manifestazione nazionale degli edili, chiedono che i soldi si trovino con la «patrimoniale». Lo ha ripetuto la leader della Cgil, Susanna Camusso, nel comizio di chiusura al Colosseo. Prima di lei, davanti a 30 mila lavoratori, hanno parlato i segretari generali della Cisl, Raffaele Bonanni, e della Uil, Luigi Angeletti.


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