Anche noi non sapevamo

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Il campo di concentramento di Silos e la foiba di Kazani furono una svolta. Già  nel 1997 un’indagine dei settimanali Dani e Zvjet, aveva rivelato il tragico «doppio assedio». Riproponiamo il commento di Zladko Dizdarevic, già  direttore di Oslobodjenje
Ogni giorno che passa c’è sempre un motivo in più per concludere che (…) non siamo molto diversi dal resto del mondo, per quanto ci sforziamo nel produrre un sentimento nostro e permanente su quello che per noi «non ha eguali». Ci raggiunge anche quella verità  per la quale anche il coraggio personale a confronto con le nostre proprie sofferenze è la parte più forte. Abbiamo provato orrore per quelli che (…) hanno chiuso gli occhi sulla tragedia e si sono giustificati col dire «non sapevamo», paragonandolo al «non sapevamo» della prima metà  del secolo, per quello li abbiamo un po’ disprezzati. Per quel disprezzo verso di loro ne siamo venuti fuori un po’ forti, un po’ più convinti di noi stessi, con un sentimento di intima nobiltà  d’animo. Che ci siamo perfino affrettati a trasfondere nei nuovi manuali scolastici, dove le caratteristiche del Bosniaco sono onestà , coraggio, amore della verità  etc. Il tutto, in bianco e collettivamente. I ragazzi e le ragazze un po’ languidi delle nostre scuole (…) hanno già  levato il loro grido di disprezzo per quel che appartiene al «resto del mondo», in letteratura, storia, cultura, arte e così via, rispetto a «noi»: è la via più sicura per ottenere un buon voto. Così patriotticamente, perché in noi stessi non c’è quel «non sapevamo», non c’è vigliaccheria davanti al mondo… 
È poco. Bisognava che la vita ci ridesse in faccia. Ecco, noi oggi «non sappiamo» come le storie sui crimini a Sarajevo abbiano a che fare con noi. Come noi non sappiamo che cosa succedeva a Kazani, non sappiamo il chi e il come, non sappiamo per quale ragione a tutt’oggi siano ignote le tombe delle vittime brutalmente uccise. Noi non sappiamo quello che sappiamo, non ricordiamo quello che ricordiamo, non racconteremo quello che per anni abbiamo sussurrato. La vigliaccheria e le menzogne sono state ridotte ad angoscia e sofferenza. Il partito di governo e i suoi leaders non sapevano niente. Allora minacciano di accusare in tribunale il giornalista che li ha menzionati nel «Dossier Caco», presentando la prova del fatto che «già  nel 1993 gli organi di potere erano stati avvertiti per iscritto…». Erano stati avvertiti, però non sapevano. E se invece sapevano, ed erano stati avvertiti, perché non hanno fatto nulla, (…) sia allora che adesso? «Non sapevano» neanche alcuni redattori che allora dichiararono ai partiti – è riportato nei libri – che per loro fosse «più importante la sicurezza dei giornalisti, piuttosto che qualche verità  su di loro..». Come pure «non sapevano» né quelli che svolgevano le indagini, né i becchini, né coloro che erano stato contrari alla riesumazione. Non hanno voluto sapere neanche gli intellettuali perfino nel 1996, quando già  da parecchio tempo tutto era finito, perché «non è da loro immischiarsi in qualcosa su cui non sia stata fatta chiarezza fino in fondo». E la città  ha tremato dietro le saracinesche abbassate aspettando che almeno qualcuno sciogliesse il dilemma: chi è il criminale? Chi è la vittima? Ma per quel gesto ci voleva coraggio. Non conta se l’abbia fatto qualcuno da qualche parte, sia nella vita che in quei manuali ricordati. Là  dove tutto può essere il contrario di tutto, dove il rosso può essere bianco e viceversa, anche quel qualcuno non avrà  una grande sorte. E per noi che, ecco «non sapevamo», è come se quasi questo ci faccia piacere. Ed ecco che ora anche lo scrittore tutto umanità  e coraggio è «uguale» a quello che in eterno terrorizza chiunque sia libero e normale su questa terra, e lo fa in nome della fede e del partito. Ora i pochi topi di cantina sono la stessa cosa di quelli che hanno offerto se stessi per i più dubbi sentimenti patriottici. Ora «non sappiamo» più come e quali farabutti si erano impadroniti del potere e del piacere, «non sappiamo» chi ci abbia fatto questo, nel nome di chi e di che cosa. Ora finalmente, siamo uguali a quelli che «non sapevano» prima degli anni Cinquanta, o a quelli che «non sapevano» nulla di noi per 56 anni e che per questo abbiamo disprezzato. Come tali, tutto questo un po’ mi riguarda, siamo ancora lontani dai manuali e da quei nostri sentimenti di cui noi stessi abbiamo scritto. A noi rimane solo il coraggio, il coraggio di averlo saputo. 
* da Svijet del 30 novembre 1997


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