Insulti nel giorno dell’addio l’oltraggio della destra al partigiano Bentivegna

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ROMA – L’odio non si placa. Il sindaco Alemanno aveva promesso «tutti gli onori» al partigiano di via Rasella. Invece in più di un municipio a Roma, la stessa città  che Rosario Bentivegna ha difeso dall’occupazione nazista a rischio della vita, la sua memoria è stata contestata. Oggi la camera ardente nel palazzo della Provincia, una cerimonia laica per l’addio a uno dei simboli dell’antifascimo italiano, a un eroe della Resistenza. «Protagonista di una delle più audaci azioni gappiste contro l’occupazione tedesca – ricorda il presidente Napolitano – Sempre ne difese le ragioni nel vivo delle polemiche e delle contestazioni che si succedettero. Resta indiscutibile il suo valore». Bentivegna, morto a novant’anni per le conseguenze di un ictus che lo ha colpito a gennaio, ha sempre difeso quell’azione di guerra, nonostante il peso della rappresaglia nazista alle fosse Ardeatine. Sfidò Kappler ma non si disse eroe. «Senza fare di necessità  virtù», il titolo del suo ultimo libro, rende il timbro di una vita.
«Quando muore una persona, un credente prega. Ma non è obbligatorio piangere se si tratta di un assassino. Non verserò una lacrima», dice Francesco Storace, leader de La Destra. L’odio non si placa. Al diciassettesimo municipio c’è stato un episodio di contestazione, i consiglieri di centrodestra Aubert, Casano e D’Alessandro si sono allontanati polemizzando pur di non osservare un minuto di silenzio. «Assassino», hanno gridato. Li ha difesi Fabio Sabbatani Schiuma, dell’esecutivo romano del Pdl. Al quinto municipio la commemorazione, anche qui sessanta secondi, è stata addirittura spartita con Giorgio Chinaglia. Un minuto di raccoglimento per il partigiano e per il calciatore. Su facebook è volato qualche insulto. Ma sui social network, sul sito dell’Anpi è stato un diluvio di addii e commozione. Cordoglio dal vicepresidente del Senato, Vannino Chiti, dal Governatore del Lazio, Renata Polverini. 
Bentivegna era stato scelto per il ruolo più rischioso nell’attentato fissato il 23 marzo 1944, anniversario della fondazione dei Fasci di combattimento. Studente di medicina, aveva ereditato il coraggio da una famiglia di siciliani impegnati nelle lotte per il Risorgimento, un bisnonno era con Garibaldi in Aspromonte. Quel giorno il ragazzo si era travestito da spazzino, su un carretto nascondeva 18 chili di tritolo e pezzi di ferro. L’obiettivo era il battaglione Bozen, formato da altoatesini tra i 26 e i 43 anni che avevano optato per la nazionalità  germanica scegliendo di far parte delle SS. Quando i soldati si fecero vicini, il ragazzo accese la miccia e a passo sostenuto raggiunge via del Tritone dove lo aspettava la sua compagna, Carla Capponi, poi diventata sua moglie. Morirono 33 militari e due civili, uno dei quali Pietro Zuccheretti, aveva solo 13 anni. 
La fine accidentale del bambino fu una delle colpe imputate a Bentivegna nel dopoguerra, oggetto di processi giudiziari tutti conclusi con il proscioglimento dei partigiani. Ma l’accusa più feroce fu quella di non essersi consegnato ai tedeschi dopo l’attacco. «Non vi sarebbe stato neppure il tempo di farlo», ricorda l’Anpi in una nota. Kappler reagì immediatamente, trucidando 335 civili e militari alle Fosse Ardeatine. «È morto un eroe, soprattutto per noi ebrei di seconda generazione, scampati alla shoah», incalza Riccardo Pacifici, presidente della comunità  ebraica di Roma. «È triste che la sua figura in tutti questi anni sia stata associata a quella dei vigliacchi. La verità  è che la furia nazista colpì a caso e tempestivamente». Per ricordare Bentivegna sarà  piantato un albero in Israele, come da tradizione. «Incarnava i valori fondativi della Repubblica», sottolinea Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd. Oggi a Palazzo Valentini fazzoletti tricolore.


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