La Francia sceglie il presidente l’istrione contro l’uomo normale è sfida tra Sarkozy e Hollande

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PARIGI.NICOLAS Sarkozy tenta il raddoppio. E oggi affronta la prima prova, non quella decisiva, ma quella che lascia intravedere il finale del 6 maggio, quando sarà  rieletto o sconfitto. Gli umori del Paese inquieto gli sono contrari e sembrano favorire Franà§ois Hollande, che non è soltanto il suo avversario di sinistra, ma anche un uomo politico con una personalità  che è l’esatto contrario della sua. I programmi dei due candidati non sono particolarmente esaltanti. È del resto difficile che lo siano in una stagione in cui la situazione economica, e quindi politica, è una sabbia mobile.
Il liberismo all’americana iniziale di Sarkozy e l’incerta, forse obsoleta, socialdemocrazia di Hollande, si sono ridotti a un pragmatismo dettato dalla crisi, in cui rigore e rilancio dell’economia cercano affannosamente di convivere. Ma la scelta che la Francia inquieta deve compiere è tra un presidente logorato dalle imprudenze e dalla crisi, che ha già  dato quel che poteva dare e che ha deluso; e un candidato che si propone di ridare un’impronta “normale” alla massima carica dello Stato, e di conseguenza al paese, senza riforme traumatizzanti. Capisco la forte attrazione che esercita Hollande, con i suoi toni pacati, anche se non entusiasmanti, all’opposto di quelli agitati e imprevedibili di Sarkozy. Il leader della sinistra, il cui stile sembra ispirarsi a due grandi modelli, Pierre Mendès France e Jacques Delors, propone un cambiamento che non è un salto nel buio, e che vuole essere rassicurante. Con la speranza che i mercati finanziari lo considerino tale.
L’audacia non è mai mancata a Sarkozy. Gli è capitato di esibirla spesso, anche in modo caricaturale, con una sfrontatezza mista di astuzia. È tenace. Furbo. Avventato. Incline a strafare e a straparlare e quindi spesso costretto a contraddirsi. Ieri amico dei ricchi, oggi severo con il denaro facile dei banchieri; un giorno arrogante con chi osa criticarlo, l’indomani, ossia adesso, pronto a scusarsi, a chiedere perdono per l’immagine che ha dato di sé nei primi anni di presidenza. Nei suoi discorsi si vede la calcolata discontinuità  dovuta ai due consiglieri in aperta tenzone ideologica: da un lato Guaino, gollista sensibile al sociale, dall’altro Buisson, ansioso di recuperare i voti dell’estrema destra in cui militava.
In una società  con secoli di romanzo nel dna la personalità  di un Sarkozy è presto decifrata. Esposto ogni santo giorno, per anni, agli sguardi del paese, il massimo protagonista della vita politica ha visto l’entusiasmo che l’aveva accolto trasformarsi in irritazione, in un rifiuto che può essere senza ritorno. La civiltà  delle immagini è spietata. Il dinamismo troppo esibito di un uomo politico slitta facilmente in un’agitazione che rischia il ridicolo. Molti francesi hanno finito col pensare che Sarkozy non incarni la figura del presidente cosi come si era delineata, prima di lui, nel mezzo secolo di Quinta Repubblica. Da qui la trasformazione del voto, secondo alcuni, in un referendum sulla sua persona. C’è da chiedersi se il maestoso, severo Bismarck, che aveva la voce chioccia, si sarebbe imposto in Germania con la stessa autorità , se nel suo tempo fosse esistita la tv. Quest’ultima ha contribuito prima al successo e adesso potrebbe contribuire all’insuccesso di Sarkozy. Le immagini, se petulanti, stancano. Rivelano i difetti. I personaggi diventano caricature.
Sarkozy non è comunque una vittima dei teleschermi. Lui ha riversato nella mischia politica, l’energia che, nel rugby, un tallonatore mette nel pacchetto di mischia. Gli è andata bene tante volte. Figlio di un emigrato ungherese, sia pure con una patina aristocratica, e di una madre borghese, con radici a Salonicco, è diventato presidente di un grande paese in cui lo spirito dello stato-nazione arde ancora. Perché mai la buona sorte dovrebbe abbandonarlo? Ma questa volta, volendo insistere sulle immagini, sembra un navigatore che affronta la tempesta su una zattera.
Il risultato del primo turno elettorale ci dirà  tra poche ore se la zattera può restare a galla, nonostante la burrasca, o è destinata ad affondare. Se arriva in testa, davanti al socialista Franà§ois Hollande, Sarkozy conserva la possibilità , non la certezza, questo no, di essere riconfermato tra due settimane, al ballottaggio, per altri cinque anni. Se esce dalle urne con meno voti dell’avversario «il est fichu», è spacciato. Lo dice un suo collaboratore, ai piedi del palco sul quale Sarkozy arringa i virtuali elettori. Ma non penso che lui, Sarkozy, condivida quel verdetto cosi drastico. È tra i due turni, nelle due settimane di pausa, che per lui si giocherà  la partita. Alla faccia dei pronostici, dei sondaggi che lo danno perdente da mesi, lui crede in se stesso. O dà  da vedere, fino in fondo, di crederci.
Sbaglia chi definisce insulsa, noiosa, priva di interesse, la campagna per l’elezione del settimo presidente della Quinta Repubblica (o per la riconferma di quello in carica). Il voto nelle nostre società  diventa a volte routine. È preceduto dall’assillante democrazia d’opinione, alimentata dai sondaggi che rischiano di dare per scontato l’avvento della democrazia legale, decretata dal voto. Il rito elettorale era senz’altro più trepidante e facile da raccontare quando il diritto al voto era determinato dal censo. Essendo in Francia penso al «Lucien Leuwen» di Stendhal, dove è descritta una campagna elettorale di quell’epoca. Non è una citazione gratuita. Oggi il forte astensionismo annunciato (il 30 e più per cento) rischia di limitare il voto non a chi ha un patrimonio, ma a chi ha una coscienza politica. Quest’ultima è il censo del nostro tempo.
La scelta tra Sarkozy e Hollande non è ispirata, come la civiltà  delle immagini può suggerire, dalla sola prestanza dei personaggi: il dinamico, scattante, infervorato, presidente in carica da un lato, e dall’altro il riservato, non (ancora) carismatico pretendente. Per raccogliere voti il primo accarezza i vizi della società : asseconda, sia pur con un linguaggio cauto, la presa di distanza dai diversi, considerati intrusi, cioé dagli immigrati, portatori del virus islamico; e minaccia di chiudere o socchiudere le frontiere aperte dall’accordo di Shenghen. Il secondo è rispettoso dei principi definiti in Francia repubblicani, e in Europa considerati irrinunciabili da chi aspira a una società  plurinazionale aperta, nel rispetto delle leggi. Il voto francese avrà  quindi riflessi anche oltre le frontiere francesi.
L’elezione avviene nel pieno di una crisi economica che, in situazioni non sempre identiche, ha già  sconfitto chi deteneva il potere in Grecia, in Spagna, in Portogallo, in Italia. Anche la Francia sembra adesso sul punto di fare altrettanto. Il successo di Franà§ois Hollande segnerebbe il ritorno a Parigi di un presidente di sinistra dopo quasi vent’anni (l’ultimo mandato di Franà§ois Mitterrand si è concluso nel ‘95) ed anche una svolta in Europa, dove la destra è dominante. Il fatto che questo possa accadere mentre imperversa la peggior crisi dopo quella del 1929 fa pensare a una forte agitazione nei mercati finanziari. La tregua concessa dalla speculazione alla Francia durante le elezioni potrebbe cessare con la vittoria di Hollande. L’argomento è usato con insistenza dalla destra, la quale sottolinea che il candidato della sinistra sarà  eletto soltanto con l’apporto dei voti dell’estrema sinistra, raccolta nel Front de Gauche, guidato da Jean-Luc Mélenchon.
Franà§ois Hollande si muove come un indiano sioux. Si è ben guardato dall’incontrare Jean-Luc Mélanchon, e ha precisato che non ci sarà  dialogo con chi non accetta il suo programma. I voti, dei centristi e dell’estrema sinistra, sono benvenuti ma niente compromessi, neppure al secondo turno. La promessa di imporre un’aliquota del 75% ai redditi superiori a un milione all’anno è forse destinata a restare tale. Lanciandola Hollande sapeva che la Corte costituzionale impedirà  probabilmente la sua applicazione. E anche se dovesse concretizzarsi riguarderà  un piccolo numero di contribuenti.
Come responsabile della comunicazione Hollande ha voluto accanto a sé Manuel Valls, capo della corrente di destra del partito socialista. Ed è Valls che veglia affinché non si spaventi l’elettorato moderato e soprattutto che non si mettano in allarme i mercati finanziari. Manuel Valls funziona come una garanzia. E se dovesse andar bene, potrebbe essere il futuro ministro degli Interni.


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