Libera dopo 14 mesi. «È il paradiso»

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E’ durata 441 giorni la prigionia di Maria Sandra Mariani, catturata in Algeria il 2 febbraio dell’anno scorso da un commando di Al Qaeda nel Maghreb Islamico e rilasciata ieri.
Di lei, a parte un messaggio audio poco dopo il rapimento in cui raccontava di essere nelle mani dei terroristi islamici dell’Aqmi, non si avevano più notizie, tanto che a Bamako (la capitale del Mali) si temeva il peggio, nonostante una fonte vicina ad Al Qaeda nel Maghreb nei giorni scorsi avesse assicurato al Corriere che «i rapitori trattano bene le loro vittime. Valgono un sacco di soldi. Non uccidono mai nessuno a meno che non ci sia un blitz per liberarli. E non è questo il caso». Ieri la stessa fonte ha confermato: «E’ stato pagato un riscatto di 3 milioni di euro». La Farnesina ha negato.
Della sua liberazione si è occupato direttamente il presidente del Burkina Faso, Blaise Campaoré, che già  a suo tempo aveva intessuto la trama per ottenere il rilascio dei coniugi Cicala rapiti in Mauritania il 18 dicembre 2009 e rilasciati in Mali il 16 aprile successivo. Campaoré ha inviato suoi emissari in Mali. In particolare uno di loro è tornato con l’ostaggio.
Maria Sandra è stata rilasciata ai confine tra Mali e Burkina Faso. E’ arrivata scortata da un gruppo di rapitori ed è stata consegnata ad agenti dell’intelligence del Burkina. Qualcuno dice che tra di loro ci fosse, camuffato, anche almeno uno 007 italiano. Ad ogni modo all’Hotel Laico di Ouagadougou, dove è arrivata in tarda mattinata, di incaricati italiani ce n’erano parecchi. La donna è partita a tarda sera per Roma su un’aereo appositamente inviato dalla Farnesina..
Subito dopo il rilascio Maria Sandra ha parlato al telefono con i genitori: «E’ finito un incubo, ora mi sento come in paradiso», sono state le sue prime parole pronunciate durante un pianto liberatorio. Al suo arrivo in Italia sarà  immediatamente interrogata da un magistrato.
Maria Sandra era stata rapita mentre era in viaggio nel Sahara a 200 chilometri da Djanet, in Algeria. Cinquantaquattro anni, di San Casciano in Val di Pesa, in provincia di Firenze, era stata catturata mentre si trovava in pieno deserto, assieme al suo autista e alla sua guida. Questi ultimi erano stati rilasciati qualche giorno dopo. 
Esperta della regione, che ha visitato più volte, non era una turista tradizionale: portava anche aiuti a favore delle popolazioni disgraziate che vivono da quelle parti. A parte la notizia lanciata con l’audio diffuso dalla televisione Al Arabiya, si sapeva soltanto che a sequestrarla era stato un gruppo legato ad Abu Zeid, un algerino dalla fama leggendaria, conosciuto anche per il suo pugno di ferro. 
Dallo stesso gruppo erano stati rapiti i Cicala: Sergio (che allora aveva 65 anni) e la moglie, Philomene Kabouree, originaria del Burkina Faso ma con passaporto italiano, (39 anni). Erano residenti in Sicilia, a Carini (in provincia di Palermo), e stavano viaggiando sul loro camper con targa italiana, per raggiungere la famiglia di lei a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso.
«Sono stato trattato bene ma in qualche momento ho temuto che mi facessero fuori — ha raccontato Sergio Cicala al Corriere —. Il capo divideva con me cibo e acqua. Certo la situazione logistica non era delle migliori, dormivamo su giacigli sulla sabbia, ma, ripeto, nessuno ci ha picchiati o minacciati, se non al momento della cattura, quando uno dei miliziani mi ha colpito in faccia con il fucile».
Resta nelle mani di un altro gruppo islamico, il Movimento per l’Unicità  e la Jihad in Africa Occidentale, Mujao, la cooperante italiana Rossella Urru rapita in Algeria la notte tra il 22 e il 23 ottobre scorso.


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