L’Aquila. Prove tecniche di vita provvisoria

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Giustino Parisse, il giornalista de Il Centro che gli faceva da guida, ha risposto che trentamila persone, a tre anni dal terremoto, vivono «altrove»: nelle diciannove new town che qualcuno ancora chiama “case Berlusconi”, negli appartamenti affittati al doppio del prezzo di mercato, in una stanza chiesta ai parenti, in una casetta di legno e cartongesso. Tutti lontani dai luoghi vissuti fino alle tre di notte del 6 aprile 2009, con dentro una nostalgia che unisce chi è nato in un palazzo del Seicento e chi ha passato l’infanzia in un appartamento di case popolari.

«Che cosa mi manca del centro storico? Tutto». Alessandro Colacchiè il libraio dell’Aquila. Aveva la sua bottega nel palazzo Pica-Alfieri, davanti al Comune, a due passi dall’università , dalla biblioteca provinciale, dal liceo classico. «I professori, nell’ora di pausa, venivano da me, per vedere i nuovi libri, per fare due chiacchiere».

Adesso la libreria è in un centro commerciale, l’Amiternum. Attorno non ci sono palazzi di ex nobili ma la boutique De Luxe, Gioging articoli sportivi, il Beauty service.

«Avevo sette commessi, in centro, e qui ne posso avere solo due, part time. Ma piano piano la mia libreria torna a essere un centro di ritrovo. Un tempo non c’era bisogno di darsi un appuntamento. Andavi in piazza o sul corso e sapevi già  chi avresti trovato. Adesso, per fortuna, gli amici si telefonano e dicono: “ci vediamo al Colacchi”.

Quando ho aperto, nel novembre 2009, ho mandato migliaia di messaggini ai clienti che avevo nel computer. Il parcheggio del centro commerciale si è intasato, c’era la fila delle macchine in strada. Sono arrivati anche quelli che erano negli hotel della costa. I muri sono diversi e questa periferia non si può chiamare città , ma i libri restano, assieme alla voglia di annusarli, di sfogliarli, di portarli a casa. A me però manca l’odore della città . Io sono nato dietro la chiesa di San Pietro».

Nel libro fotografico di Gianni Berengo Gardin, L’Aquila prima e dopo, c’è una frase di Jack Kerouac. «…Li ho visti morire sulle sedie, silenziosi in una città  che non avevano mai progettato». Sembra la descrizione di questa new town Paganica 2, alla periferia della città . «Vedo i vecchi che camminano pianoe parlano da soli. Non sanno dove andare, non c’è un bar, non c’è un forno…». Vincenzo Vivio, architetto,è uno dei 2.300 abitanti di questa città  non città . «Io non ho una famiglia ma una tribù: mia moglie e sei figli. Dopo la grande scossa mia moglie è andata a Milano e poi a Pescara, con i due figli più piccoli iscritti alle elementari e alle medie. Io vivo qui, con gli altri quattro, una figlia è sposata, e vive con noi anche il marito. Si sta tutti assieme in sessanta metri quadri. Avevo una casa di centotrenta metri quadratie già  dovevamo organizzarci coni lettia castello. Avevo uno studio in centro. Adesso mi hanno detto che la casa è da abbattere e che devo portare via subito le mie cose. Ho diecimila libri, in quella casa. Non so come fare, perché anche lo studio dovrà  essere demolito. C’è un meccanismo infernale, in questo post terremoto. Aspetti per mesi e per anni che decidano cosa fare della tua casa e quando la decisione arriva l’acceleratore va al massimo: devi fare tutto subito. Per me il terremoto vero è arrivato adesso».

C’è una grande tenda, a Paganica 2, con la scritta “Ministero dell’Interno. Soccorso pubblico”. «L’hanno montata solo tre mesi fa, così si può andare a messa la domenica sera o guardare qualche piccolo spettacolo teatrale». Il mercoledì, dalle 15,30 alle 17, «sarà  presente un operatore che gratuitamente darà  assistenza per domande di pensione, accompagno, assegno sociale». Un volantino della parrocchia San Pio X annuncia un “itinerario di preparazione al Matrimonio”. Verso sera arrivano le auto di chi ha ancora un lavoro.

In silenzio donne e uomini salgono in casa e accendono la tv. «La cosa che fa più male – racconta l’architetto Vivio-è vivere sospesi e non avere nemmeno un centimetro di spazio proprio. Io vivo in macchina, tengo lì le mie carte di insegnante e di professionista. Sabato e domenica a Pescara, a trovare moglie e i due figli. Sto consumando tutti i miei risparmi. La vita normale, con la colazione prima della scuola, i pranzi tutti assieme, quelle sere passate a guardare un film, sono ormai un ricordo. E non riesci mai a trovare un amico, siamo tutti sparsi in decine di chilometri. Quando succede di incontrarci per caso, ci abbracciamo». La sera fa quasi paura, nel centro storico.

Incontri solo i soldati a guardia delle macerie. La notte speciale arriva solo quando c’è il “giovedì universitario”, con i ragazzi che alle 23,30 si trovano, bottiglie alla mano comprate al supermercato, in corso Vittorio Emanuele II e alla Fontana luminosa.

«Ho fatto i conti – dice Natalia Nurzia, della pasticceria Fratelli Nurzia, la prima ad aprire dopo il sisma – e ho scoperto che in centro ci sono cinque famiglie in tutto. Non arrivano più nemmeno i turisti a fare le foto. E anche gli aquilani ormai stanno fuori.

Hanno già  visto le macerie e i pochi spazi riaperti. Sanno che sarà  così per anni. Sperare non basta più, adesso bisogna fare.

L’ultima notte bella c’è stata ai primi di febbraio, quando è venuta la grande nevicata.

E allora gli aquilani sfollati hanno portato qui i loro bambini a vedere la città  coperta da un metro di neve». Sui muri c’è ancora un volantino dei Comitati, che annuncia per il 22 gennaio un’assemblea per organizzare una manifestazione cittadina.

«Non possiamo più restare in silenzio, non possiamo più attendere». Ma la manifestazione non si è mai svolta.

È a Bazzano, il nuovo centro storico della città . Qui, nei capannoni del nuovo polo industriale, ci sono la facoltà  di lettere e l’archivio storico, la biblioteca provinciale, la Camera di commercio, il tribunale. In una baracca di pietre e legno c’è anche la barberia dei gemelli Fabrizio e Angelo Barone. «Eravamo in piazza Umberto I a Paganica, là  c’era la vita». C’erano il Fashion Cafè, la pizzeria, la bottega di generi alimentari. «E al venerdì mattina c’era il mercato e arrivava tutto il paese. Se succedeva qualcosa, lo sapevi subito. C’era anche la chiesa, e se suonava a morto sapevi che qualcuno se n’era andato. Vedevi gli sposi che uscivano dalla chiesa e anche da dentro la bottega partecipavi alla festa». Qui non si sentono campane, c’è solo la musica forte che inonda il parcheggio del supermercato Ciuffitelli. «I clienti di tre anni fa non sono tanti. Alcuni sono andati ad abitare lontano, altri – molti erano anziani – sono al cimitero. E c’è anche chi ha smesso di andare dal barbiere. Nelle tendopoli, o negli hotel della riviera, hanno imparato a farsi i capelli con la macchinetta e anche adesso fanno da soli. Per fortuna ci sono clienti nuovi, fra quelli che abitano nei nuovi insediamenti». Sempre a Bazzano c’è la new town inaugurata – spumante su tutte le tavole- da Silvio Berlusconi il 29 settembre 2009, giorno del suo compleanno. Anche qui gli anziani passeggiano parlando da soli. Ma si sente il suono come di una campana. Forse una chiesa chiama a una messa. Ma è solo il clang clang del passaggioa livello, per il trenino che va a Sulmona.


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