I pm: Zoppini incassò 800 mila euro in nero

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VERBANIA – Nelle settantotto pagine (fronte e retro) del gip di Verbania sono poche le righe che accusano l’ex sottosegretario alla Giustizia Andrea Zoppini di frode fiscale. Poche ma durissime. Come consulente durante la creazione del Trust Giacomini in Lussemburgo, deciso per il riassetto della impresa, avrebbe ricevuto un milione e 732 mila euro. Al fisco però, secondo la procura della Repubblica di Verbania, ne avrebbe dichiarati poco più di 900 mila. Gli altri 800mila li avrebbe pretesi in nero e versati su conti esteri. E se si aggiunge che la società  di gestione del Trust è la lussemburghese Titris che a suo tempo ha fatto capolino anche nell’inchiesta milanese sui festini di Arcore, possedendo il 30 per cento della Friza immobiliare a cui risultavano essere intestati gli appartamenti di via Olgettina che ospitavano l’harem berlusconiano, si comprende la rapidità  con cui Zoppini, ricevuto l’avviso di garanzia lunedì sera, abbia dato le dimissioni martedì in contemporanea con la notizia.
L’ex sottosegretario del governo Monti però non è l’unico politico a finire nella polvere per l’inchiesta della procura di Verbania. Nel registro degli indagati è stato iscritto – l’ipotesi di reato è corruzione – anche il senatore della Lega Nord Enrico Montani. A lui i fratelli Giacomini, la cui impresa alla produzione di rubinetti affianca anche quella di sistemi eolici, si sarebbero rivolti per ottenere contributi e agevolazioni. Ieri i carabinieri di Novara hanno perquisito la sede della Lega Nord di Verbania e gli uffici romani del senatore. 
Montani e Zoppini sono in numerosa compagnia. Sono infatti ventiquattro i personaggi eccellenti indagati dal procuratore capo Giulia Perrotti e dal pm Fabrizio Argentieri. Tra loro anche un noto avvocato milanese, Fabio Bassi, dello studio del professor Amodio che, dopo questa imputazione ha dovuto rinunciare alla difesa dei fratelli Giacomini. Per lui l’accusa è quella di favoreggiamento. Lo ha messo nei guai un’intercettazione. Parlando al telefono con i Giacomini avrebbe dato questo suggerimento: «Distruggete tutta la documentazione». 
L’indagine presto potrebbe avere altri sviluppi clamorosi. L’altro ieri a Verbania si è infatti costituito Alessandro Ielmoni, ufficialmente residente in Lussemburgo e a suo tempo coinvolto (ma solo come teste) nel crack Parmalat. Secondo i pm lui si sarebbe assunto il ruolo di «ripulire» le centinaia e centinaia di milioni di euro mandati all’estero dai Giacomini. In più oggi potrebbe presentarsi anche il quarto uomo per cui il gip ha emesso un mandato di cattura: è un ragioniere che dopo anni in banca è passato al servizio degli imprenditori. E’ sfuggito ai carabinieri perché impegnato in un pellegrinaggio nei santuari di Lourdes e Santiago di Compostela. E ieri gli investigatori hanno perquisito anche gli uffici di Mariella Enoch, presidente di Confindustria Piemonte, che in passato ha fatto parte del consiglio di amministrazione della Giacomini spa.
I magistrati sospettano di aver scoperto una «centrale» di professionisti in grado di aiutare non solo i fratelli Giacomini (arrestati domenica scorsa) ma anche altri gruppi imprenditoriali italiani a nascondere oltre confine centinaia di milioni di euro. Soltando i Giacomini, secondo gli investigatori, riuscivano a occultare in Lussemburgo più di sei milioni di euro all’anno. A soprendere è che l’inchiesta è nata per caso. L’agenzia delle entrate, scoperto il flusso di denaro verso il Lussemburgo, dopo aver convocato i fratelli Giacomino per chiarimenti, aveva segnalato l’anomalia alla Procura, sollevando i primi sospetti del pm Argentieri sull’operazione con cui era stato creato il Trust. Dopo l’agguato del 6 settembre scorso a Corrado Giacomini gli investigatori avevano potuto sequestrare computer e documenti e scoprire così l’attività  di riciclaggio e il coinvolgimento di personaggi insospettabili.


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