La Cgil e lo strappo del 2 giugno

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Monti, Fornero e Passera che sono persone educate, mica come quei cafoni che c’erano prima, prenderanno appunti sui loro block notes, anche se sono molto impegnati a cancellare l’art. 18. Del resto, non è che la svolta reazionaria del governo Monti sia stata oggetto di grandi lotte e scioperi generali. È rimasta la Fiom a dire quel che dieci anni fa con Cofferati diceva l’intera Cgil. Adesso persino lo striscione «l’art. 18 non si tocca» rischia di disturbare la sensibilità  di una manifestazione sindacale.
Ieri si è aperta a Montesilvano l’assemblea nazionale della Fiom per discutere di come riconquistare il contratto nazionale cancellato da un combinato disposto che vede come responsabili un paio di governi, la politica quasi al completo, Confindustria e Federmeccanica, Cisl e Uil. La Fiom sta trovando consensi alle sue battaglie in difesa della democrazia sindacale e per il diritto a rientrare nelle fabbriche Fiat da cui è stata espulsa soltanto nel diritto, cioè nelle sentenze di molti tribunali. A rifiutare l’apertura di un tavolo con le controparti per definire nuove regole democratiche basate sulla rappresentanza reale nei posti di lavoro e vivificate dal consenso dei lavoratori sono innanzitutto i sindacati metalmeccanici della Cisl e della Uil, che pensano di trarre vantaggi personali dalle discriminazioni contro il sindacato che rappresenta la maggioranza dei lavoratori metalmeccanici. Neanche negli anni Cinquanta – gli anni duri di Pugno e Garavini – i padroni e i governi democristiani erano arrivati a tanto. Però la Cgil il 2 giugno non farà  uno sciopero generale per la democrazia sindacale, in difesa del lavoro, delle pensioni, dei diritti e contro le politiche classiste del governo Monti, ma sarà  in piazza con Cisl e Uil a festeggiare la Repubblica italiana.
Ieri all’assemblea della Fiom non c’era nessun dirigente nazionale della Cgil. È la prima volta che succede, è una scelta gravissima lasciare sola la Fiom in un passaggio politico e sindacale così difficile, e in un contesto sociale devastato dalla crisi e dalle ricette liberiste, con un governo nominato dai poteri forti internazionali e sostenuto da tutto l’arco costituzionale. Come ha ribadito ieri il segretario Maurizio Landini, «la Fiom non è parte della Cgil, è la Cgil». È una straordinaria risorsa, ma per il gruppo dirigente confederale guidato da Susanna Camusso la Fiom rappresenta invece un problema. È un atteggiamento politicamente subalterno, ma anche miope: come non capire che l’attacco alla Cgil è solo l’inizio di una valanga che, se non fosse fermata, travolgerebbe la stessa Cgil? I sindacati complici come la Cisl e la Uil vengono usati per portare a termine una controriforma del mercato del lavoro fondato sulla sterilizzazione della democrazia, ma già  oggi la Fiat di Marchionne, nelle fabbriche in cui si vota con le sue regole che escludono la Fiom, sta emarginandoli spingendo in avanti i sindacati gialli e aziendali. Non capire che se si facesse passare l’attacco alla Fiom si aprirebbe un’autostrada alla vendetta sociale dei più forti, sarebbe un grave errore politico. Non sarebbe perdonato.


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