Quei 49 corpi gettati via La crudeltà  dei narcos

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WASHINGTON — 9 maggio: in Iraq si contano 6 vittime per attacchi terroristici, in Messico trovano 18 corpi smembrati dai narcos. E’ un giorno preso a caso. Ma se guardiamo l’intero calendario il bilancio non cambia. E oscura anche quello del conflitto afghano. Una corsa al massacro che ieri ha dato modo ai macellai mascherati di esibirsi ancora. Strada Monterrey-Reynosa, importante arteria che porta fino al Texas. Vena giugulare per traffici leciti e illeciti. Al chilometro 47 i narcos hanno deposto l’ultimo «regalo». Grandi sacchi neri pieni di membra umane. I primi agenti segnalano «almeno 10 morti». Poi, man mano che aprono i pacchi, il numero sale: 37, 40, 49. In maggioranza uomini, forse immigrati centroamericani. Cadaveri in gran parte senza teste e mani per impedirne l’identificazione. I narcos vogliono far parlare i media, innalzare la tensione, dimostrare ai rivali chi è più crudele. E siccome le bande hanno bisogno di esseri umani da «sacrificare» li rapiscono a caso. I migranti che cercano di raggiungere El Norte, l’America. O dei poveracci prelevati per strada o tirati giù dai bus.
Il massacro di domenica segue in rapida successione quelli di Nuevo Laredo — 23 i morti — e Jalisco, più di 20 gli accoppati. Eccidi accompagnati da una sequela di agguati. Uno qui, due in un villaggio, tre in un bar. Sparano gli uomini. Sparano le donne che intascano dai 700 a 1000 dollari per esecuzione. Sparano i minori, reclutati a plotoni. Impossibile tenere il conto. Dal 2006 — a seconda delle fonti — ti raccontano che le vittime della narco-guerra possono essere 36 mila, 55 mila, 62 mila. E’ evidente tentativo dei cartelli di innalzare il livello di scontro, si sbranano per imporre la «sovranità » sulle regioni di confine e per gestire il flusso di droga. Con invasioni di campo bagnate dal sangue. I nuovi barbari sparpagliano teste che — perdonateci il particolare — sono il solo modo per sapere quante sono le persone fatte fuori.
La battaglia messicana va avanti per fasi. Con alleanze criminali che si creano e disfano. In questo momento il padrino più importante e capo del cartello di Sinaloa, Joaquin Guzman, alias El Chapo, vuole schiantare i Los Zetas. Dunque ha preparato i suoi sicari, armati con mitra, granate e fucili comprati negli Usa. Una colonna ha raggiunto lo Yucatan. Ma i più duri, insieme a quelli del Golfo, hanno compiuto incursioni a Nuevo Laredo, feudo dei Los Zetas. Il boss ha fatto ritrovare su una pila di cadaveri un cartellone composto da scritte e foto: «Abbiamo iniziato a ripulire la città  dai Los Zetas». Poi, rivolto al governatore locale accusato di «non avere le palle», ha aggiunto: «Ricordati che sono tuo padre». I Los Zetas, vera macchina distruttiva, hanno reagito andando all’attacco nel Triangulo Dorado, zona che ricade sotto l’autorità  del El Chapo. E hanno messo in campo colonne di veicoli blindati — alcuni clonati per farli sembrare quelli dell’esercito —, banditi equipaggiati come soldati, con bocche da fuoco potenti. Nell’offensiva sono entrare le gang affiliate perché il conflitto è totale. Servono prove di fedeltà . Gli assassini del Milenio, alleati dei Los Zetas, hanno sequestrato una trentina di operai, camerieri, studenti. Ne hanno squartati 20 lasciando un biglietto di saluto: «Baci». La risposta — ha spiegato una donna che faceva da carceriera — a quanto avvenuto a Nuevo Laredo. Poi, come si passassero la falce, altri criminali, sembra Los Zetas, hanno ucciso sulla via per Reynosa.


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