Archeo pasticci

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Nei momenti di crisi della tutela i fondi per le attività  ordinarie calano, le operazioni spettacolari riprendono. Il problema delle statue nuragiche di Mont’e Prama (vedi appello e la petizione qua a fianco) è il contesto. Non solo quello archeologico. 
La vicenda è esemplare: sfumato nel 2009 il G8 di La Maddalena, e le statue in risposta ai previsti Bronzi di Riace, ecco a Sassari il convegno Invitalia Sulle spalle dei giganti (maggio 2010). Poi il tentativo di invio all’Expò di Pechino, a restauro non ancora ufficializzato. Fermato anche grazie alla campagna di stampa su queste colonne (il manifesto, 10-08-2010), sul Manifesto sardo e La Nuova Sardegna (8-08-2010). Il mancato inserimento di Cagliari nel polo museale sardo di Invitalia (qualcuno puntava a tenere le statue nel sassarese?) viene sanato dalla stessa. Mario Resca è in azione a Cagliari dall’agosto del 2010 (non farà  il progetto, come ha dichiarato il Soprintendente, ma che il suo ruolo non fosse quello del progettista lo si sapeva): a questo punto, prende corpo la divisione, e un altro tentativo di spedizione dei «giganti», verso la Corea – un’altra Expò – o alle Olimpiadi di Londra. 
Spariti i 500 milioni di Arcus per Pechino, 500 milioni vanno ai nuovi spazi del Museo nazionale di Cagliari: per gli esemplari più artisticamente rappresentativi del grande gruppo. Un tributo che sa di antico. Chi vedrà  «le statue più belle del reame» potrà  evitare il viaggio a Cabras, ammesso che le altre ci vadano.
Quello che è in affanno è il patrimonio archeologico più vasto e differenziato del mondo, con tutte le epoche rappresentate e almeno ventimila monumenti. Meridione parallelo, i Fenici al posto dei Greci. Grandiosa e unica civiltà  nuragica. Strepitoso neolitico. Identità  complesse. Sarebbe una risorsa per un nuovo modello sociale ed economico, territorio per territorio, unica massa critica possibile per la tutela: perché gli uffici delle Soprintendenze operano oltre i limiti dell’eroismo, decimati dai tagli dello Stato e dall’endemico abbandono del turnover. 
Perciò i paesaggi, come nel titolo del bel libro collettivo di Sandro Roggio, rischiano di essere Paesaggi perduti. Così vi sintetizzammo le tante ragioni della «perdizione»: Tiscali, il luogo distrutto lasciato distruggere. Nurdòle, il luogo indagato d’urgenza e non protetto. Cornus, il luogo studiato per la storia e le carriere, poi mollato. Monte d’Accoddi, il grande luogo tramortito da piccole capacità . Monte Prama, il luogo ancora non nato.
Guardate la storia infinita della più grande necropoli punica del mediterraneo, Tuvixeddu, aggredita dalla speculazione, bloccata da ricorsi e controricorsi, ignorata dalla Regione, umiliata persino dalla Soprintendenza che posizionò su ventisei tombe puniche gigantesche fioriere a confinarla. Che ora il sindaco Zedda, con il consenso del Soprintendente, si appresta a far togliere. O il futuro sempre radioso della «Colonia Julia» di Turris Libisonis, un grande sito romano in un’altra porta turistica dell’isola (Porto Torres). Il Parco archeologico non parte mai. «Finalmente decolla» è da molti decenni il titolo preferito della stampa locale. 
È un’arma a doppio taglio quella che stabilisce graduatorie di pregio. Il grande investimento per dividere un contesto è anche sottrazione all’urgenza ben maggiore della tutela diffusa. 
Quadro critico, situazione difficile. Fanno sperare i lavoratori cognitivi, l’attivismo dell’Associazione Nazionale Archeologi. Le forme di dialogo e unione con gli storici dell’arte, i bibliotecari, i demoantropologi, gli archivisti. L’attenzione alle cose. 
Ma la percezione della rete è lontana. Il presidente della Regione Cappellacci presenta il «nuovo» PPR, assieme alla bandiera bilingue dei Quattro Mori: apertura al cemento, niente spazio per l’unico modello possibile per la tutela e la valorizzazione del patrimonio: quello dei «commons». 
La Regione non dà  un serio indirizzo globale (in parte fatto per i musei) verso standard qualitativi di gestione e valorizzazione. Ma pensa ad una Fondazione per la moritura «casta». È la «semplificazione» decisiva che si profila nelle aule del consiglio regionale, il testo di legge sulla «Fondazione beni culturali Sardegna». Accentrare in una Fondazione tutte le attività  destinate alla tutela e alla valorizzazione, togliendo i fondi ai comuni. Centralisti mascherati da regionalisti!
Centro-destra e centro-sinistra firmano i testi travasati (male) in quello unificato n. 235-276-292 A, licenziato per la discussione in Aula; nomi eccellenti del Pd (ora in agitazione per la legge) come Soru, Bruno e Barracciu; di SeL come Zedda e Uras. Una classe politica al capolinea pensa alle sue generazioni future. Il controllo dal «palazzo». Promette «a domanda» – un bacino elettorale di migliaia di voti – l’assunzione di oltre ottocento precari. Una situazione delicata e intricatissima: in alcuni casi lavorano da decenni in aree e biblioteche. Anche bloccando, per l’assenza di evidenze concorsuali pubbliche, l’accesso regolare al lavoro per tutti gli altri. 
Per questo ecomostro Stefano Deliperi ha evocato i «kombinat» sovietici. Un accordo di casta, giuridicamente insostenibile, rischia di spegnere per molti decenni alcune attività  dei territori. 
Indebolimento dei valori pubblici, controllo politico, azioni disinvolte sulle parti remunerative. 
Il patrimonio archeologico diventa così un’appendice dei poteri forti e delle loro rappresentanze cristallizzate nella Regione e nello Stato. È ancora l’isola che non c’è.


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