Il prete che lavora per la pace: «Che le armi tacciano»
Ma intanto a Homs e in altre città silenziosamente prosegue un’opera disperata e piena di speranza, «Mussalaha», riconciliazione dal basso. Padre Michel Maaman, sacerdote sirocattolico, ex parroco della cattedrale di Santo Spirito a Homs, è una delle anime di questo movimento informale a cui partecipano religiosi e laici, «anche dei capi tribali che sono venuti a farci visita da altre aree e ci stanno aiutando». Mussalaha cerca di recuperare quella convivenza e solidarietà etnica e religiosa che hanno sempre caratterizzato la Siria e che adesso sembra sgretolarsi nella frammentazione settaria.
Gli incontri di pace a partire dalle famiglie, dai clan, dalle diverse comunità della società civile siriana, stanca del conflitto, si accompagnano ad azioni di mediazione riuscite. Un servizio della tivù francese TF1 mostra padre Michel al lavoro per far uscire dal centro antico di Homs diverse famiglie là intrappolate, cristiane e musulmane (www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=2C46PBC0P5o). Tratta con l’opposizione che controlla i quartieri e alla fine riesce a ottenere l’ok alla liberazione di decine di persone stremate. Il governatore della città , intervistato, spiega che la Mezzaluna Rossa siriana più volte aveva chiesto di entrare, ma i ribelli avevano sempre negato l’accesso e l’evacuazione dei civili, per evitare l’assalto. La Croce Rossa internazionale ha confermato di non aver potuto entrare nella città vecchia di Homs, ma non ha voluto indicare perché («siamo neutrali»).
Parliamo al telefono con padre Michel a Homs. E’ cautissimo, non parla di politica e rimane fermamente neutrale: «Una parola in più e qui si rischia la vita». Circa i civili dei quali ha ottenuto la liberazione dice che «no, non erano scudi umani, ma insomma tenuti dai ribelli come protezione…».
Il padre ripete: «Vogliamo che le armi tacciano, per far parlare le persone». Ma come è possibile aiutare Mussalaha? Lui riflette: «Più che l’aiuto umanitario, servire che ci si lasci in pace, e i siriani sapranno ricostruire la Siria». Lasciare in pace significa anche non fornire più appoggio in armi dall’esterno? «Ovvio! Qui si soffia sulle polveri. A forza di parlare di guerra civile, di odio etnico, eccoli. Ci sono interessi enormi, e un barile, uno solo, di petrolio sembra valere più di un vita». Quanto alle persone, sono in crisi di coscienza, diffidenti, più nessuno si fida di nessuno. Nel quartiere Hamidieh c’erano 50mila cristiani, dice, adesso saranno un’ottantina i rimasti. Invece bisogna «aprire il cuore».
E cosa pensa di delegazioni, corpi civili di pace e altro per appoggiare Mussalaha? «Finché le armi, sparano nessun gruppo internazionale potrà portare la pace. Sono i siriani a dover agire. E poi l’Onu, gli osservatori, le delegazioni, sono così burocratici. Stanno negli hotel». Ma un appoggio politico servirà . L’irlandese Mairead Maguire, Premio Nobel per la pace nel 1976 con Betty Williams e leader del movimento «The Peace People», ha espresso sostegno a Mussalaha. E così Gregorio III Laham, patriarca dei greco-melkiti di Damasco, che confida nella lunga storia di convivenza dei siriani. «Se funzionerà a Homs, la riconciliazione, funzionerà ovunque», conclude padre Michel
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