Le casse vuote, fine del sogno catalano

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MADRID — Questione di termini: «aiuto» o «salvataggio». Ma non di sfumature sulle rispettive conseguenze: un semplice giro di vite nei controlli o un vero e proprio commissariamento amministrativo. Esattamente come quello che toccherebbe a Madrid se, dopo aver chiesto e ottenuto 100 miliardi di euro per ricapitalizzare le sue banche, dovesse infine accodarsi a Lisbona, Atene e Dublino davanti allo sportello europeo del fondo salva Stati. Sei comunità  autonome spagnole sono di fronte al bivio più arduo mai affrontato nei 34 anni della loro vita democratica: difendere fino al collasso la propria indipendenza o pagare i debiti. 
Assediata dai creditori, la Generalitat di Valencia ha rotto gli indugi e chiesto al governo centrale di poter accedere al Fondo autonomo di liquidità , un tesoretto di 18 miliardi di euro che le pur sfinite casse statali sono disposte a prestare alle 17 regioni, per le emergenze e perché possano permettersi di rispettare i limiti del deficit (1,1% nel 2012 e 0,7% nel 2013). Si scrive «aiuto», ma si legge «salvataggio». Che non impedirà  domani alle farmacie di Castellò e Alicante di chiudere i battenti per uno sciopero a oltranza, finché non saranno pagate fatture inevase per 240 milioni. Dal Tesoro spagnolo il denaro non arriverà  prima di agosto e settembre, secondo quanto anticipato da Mà¡ximo Buch, titolare del dicastero di economia e industria della Comunità  Valenciana, e non ha quantificato la cifra: «Dipende — ha spiegato — da quante comunità  autonome solleciteranno l’aiuto». Ma ha escluso che, qualunque sia la somma, questa possa minare la sovranità  del consiglio regionale. 
Ora tutti gli occhi sono puntati su Barcellona, «l’altra capitale». La indomita. La fiera rivale storica di Madrid. Se anche la Catalogna si piega alle urgenze finanziarie, come sembra ormai molto probabile, consegnerà  metaforicamente al ministero del Bilancio spagnolo le chiavi della sua contabilità , il diritto di ficcare il naso nei suoi registri, di sindacare la sua politica economica, di verificare entrate e uscite. Con 5 miliardi e 755 milioni di debito, in scadenza entro dicembre, la regione di Barcellona deve colmare un buco largo il doppio di quello di Valencia; e, secondo quanto pubblica il quotidiano El Periodico, l’amministrazione catalana non potrà  finanziare questo mese scuole e ospedali convenzionati, a meno che non arrivi una provvidenziale iniezione di liquidità  entro la prossima settimana. Non salteranno gli stipendi, per ora, ma si accumuleranno altre fatture da pagare per le spese correnti.
Suona quindi come un sofferto temporeggiamento il discorso del portavoce del governo catalano, Francesco Homs, secondo cui, se la Catalogna dovesse compiere il passo, si tratterebbe soltanto dell’apertura di una «linea di credito». Senza conseguenze sull’autonomia. Ma non tutti i partiti catalani la vedono così: dal fronte di Esquerra Republicana, per esempio, si giudica che la mossa metterebbe inevitabilmente la Catalogna «sotto tutela». 
In attesa degli eventi di un lunedì, che difficilmente compenserà  gli spaventi e la desolazione dello scorso venerdì nero, quando lo spread ha sfondato per la prima volta il tetto dei 600 punti e la Borsa si è inabissata a meno 5,8%, altre comunità  autonome soppesano vantaggi e svantaggi della mossa di Valencia: Andalusia, Castiglia La Mancia, Murcia, Baleari, Canarie. Se l’Andalusia assicura di poter resistere, altre comunità , come l’Estremadura, vedono «poco margine» di manovra per rientrare nel limite di deficit fissato da Madrid. Il tempo per decidere sta per scadere.


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