Senza lavoro, accampati di fronte al comune: chiedono reddito minimo

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TORINO – Pino ha 49 anni, una moglie e due figli adolescenti ed è disoccupato da  5 anni, quando la cooperativa sociale per cui lavorava è stata chiusa. Nel marzo del 2011, stufo e scoraggiato, si è cosparso di benzina di fronte all’ufficio di collocamento, minacciando di darsi fuoco. Marcello invece ne ha 61 e per una vita ha fatto il ristoratore: tre anni fa, a causa della crisi, ha dovuto chiudere il suo ristorante e da allora è rimasto sempre disoccupato.  Antonino, 45, è invece analista e programmatore informatico: dal 2002 non ha più un contratto a tempo indeterminato, ma fino al 2009 è riuscito a cavarsela; da allora però, tra contratti a tempo e a progetto, ha totalizzato meno di 12 mesi di stipendio. Lavoratori cresciuti all’ombra della Fiat e dell’industria pesante; mandati alla deriva dalla  trasformazione che negli ultimi anni ha investito Torino,  la capitale industriale che fu, oggi riscopertasi  centro mondano, città  di eventi, atelier e agenzie di comunicazione. Da due settimane Pino, Marcello e Antonino sono accampati di fronte  a Palazzo Civico, sede del comune, per rivendicare il diritto al reddito minimo garantito: durante il giorno protestano, distribuiscono materiale informativo e cercano il dialogo con cittadini e istituzioni. Di notte dormono in una tenda all’aperto, dato che molti di loro non hanno neanche più un tetto.  Le loro rivendicazioni poggiano su una risoluzione del parlamento europeo del 20 ottobre 2010 “sul ruolo del reddito minimo nella lotta alla povertà  e per la promozione di una società  inclusiva”.

“Il punto 23 della risoluzione – spiega Marcello – afferma che gli investimenti nei regimi di reddito minimo costituiscono un elemento fondamentale nella prevenzione e riduzione della povertà   e che anche in periodi di crisi, tali regimi non andrebbero considerati un fattore di costo, bensì un elemento centrale della lotta alla crisi. A Torino, l’investimento per il reddito minimo ammonta allo 0.3% del bilancio comunale: e mentre molti di noi dormono per strada, il Comune spende 3 milioni di euro per ristrutturare lo stadio Filadelfia. Questo non ci sta più bene: noi chiediamo che i fondi per il reddito minimo siano portati almeno al 10%.  Da tre anni – conclude – io sono in cerca di lavoro, ma come può trovarne un sessantenne come me, quando la disoccupazione colpisce anche i ventenni?”.

Proprio in queste ore, il gruppo sta incontrando una delegazione del Consiglio comunale, alla quale presenteranno le loro richieste: riapertura dei cantieri per i lavori socialmente utili; sospensione degli sfratti per i disoccupati e delle morosità  relative al pagamento delle utenze; attivazione di misure di sostegno al reddito diretto e indiretto. In due settimane, il gruppo, che fa capo al sindacato autonomo Cobas, si è ingrossato, incassando la solidarietà  di altri movimenti e di cittadini in difficoltà . Cittadini come Gaetano, 43 anni, ex spazzacamino, che al momento vive in strada perché ancora in attesa di una risposta dall’Agenzia territoriale per la casa (atc). “Ho fatto richiesta per un alloggio d’emergenza  – spiega –  e alla fine sono finito a dormire a piazza Sofia. Per un po’ mi hanno ospitato alcuni amici, ma ora sono in strada con il mio cane e il mio gatto, che non voglio assolutamente abbandonare”.

“Dopo che ho minacciato di darmi fuoco – gli fa eco Pino – mi hanno dato un lavoro per sei mesi: ho dovuto fare le cose più umilianti, come lavare i bagni del palazzo della Provincia, che nessuno puliva da anni.  Alla fine mi hanno buttato via come una scarpa vecchia. Per ottenere quel posto mi hanno fatto visitare da qualcosa come 5 psicologi, che dovevano verificare se fossi pazzo o meno. Tra  una settimana – conclude – mi daranno lo sfratto, e non la minima idea di dove andrò a stare. Nel frattempo ho due figli di 16 e 18 anni, che da 5 non riesco più a mantenere. A volte mi chiedo se darmi di nuovo fuoco sia l’unica strada perché mi diano un altro impiego”.  (Antonio Storto)

 

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