Ilva, l’applauso ai dirigenti sotto inchiesta
È il turno di Antonio Miccoli, ventiquattrenne perito elettrotecnico, faccia da bravo ragazzo: «Siamo quattro fratelli e lavora solo mio padre, bobinatore. L’Ilva ti dà da mangiare. La salute? Il cancro viene a settant’anni». Dopo di lui tocca a Daniele Giura, 27 anni, diplomato in logistica: «Non è il mio lavoro ideale ma vorrei rimanere a Taranto e qui c’è solo questo. La salute? Ci penso, certo».
Mentre l’ufficio di collocamento interno procede a tutto vapore, dall’altra parte della città , fuori del Tribunale, va in scena l’inedito, caloroso applauso da parte di una trentina di capireparto dell’Ilva nei confronti dei loro dirigenti arrestati (ai domiciliari) per disastro ambientale. I sei sono arrivati in tribunale a bordo di sei cellulari per essere interrogati dal gip di Taranto, Patrizia Todisco. «Bravi!». «Non mollare!». Poi spiegano: «Questa è gente che lavora dalla mattina alla sera». «Con i furgoni come i mafiosi, che Italia». I sei manager si sono avvalsi tutti della facoltà di non rispondere e lo stesso hanno fatto Emilio e Nicola Riva, i proprietari, davanti al gip di Varese. Nel frattempo fervono i preparativi per le manifestazioni: la fiaccolata di questa sera promossa dall’arcivescovo di Taranto, Filippo Santoro, nel rione Tamburi, il più colpito dal punto di vista ambientale; e i cortei di domani, a Taranto, quando il mondo metalmeccanico si fermerà sventolando una bandiera comune: «Perché lavoro e salute marcino insieme». Cioè, l’azienda non chiuda e continui a risanare l’area dall’inquinamento industriale. Infine, un timore: black bloc. Il coordinamento di cittadini delle associazioni ambientaliste Altamarea ha scritto al prefetto di Taranto denunciando possibili infiltrazioni. «Possono tornare a casa», ha intonato il coro sindacale.
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