Ilva, l’applauso ai dirigenti sotto inchiesta

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TARANTO — Mentre in tribunale sfilano i sei dirigenti arrestati fra gli applausi di una trentina di capireparto, all’ombra degli altoforni, dove rombano i tir carichi di sabbie e acciaio, c’è una piccola, strana coda. Sono tutti ragazzi di Taranto, tutti disoccupati, tutti ad aspettare il loro turno per un colloquio con un capo del personale. Proprio così, cercano un posto all’Ilva, esattamente nei reparti finiti nell’occhio del ciclone, come le acciaierie, la cokeria e gli altoforni, dove la magistratura ha messo i sigilli per affermare il diritto alla salute, perché, dice il pm, chi lavora lì dentro e chi respira lì fuori non rischi la vita in nome del lavoro. Capita così di incrociare Giuseppe Tagliente, 41 anni, con la sua berlina dalla quale scendono i due figli di 19 e 13 anni. «Magari fossero tutt’e due assunti all’Ilva. Il grande forse ce la farà , siamo qui per portare le carte della visita medica». Giuseppe lavora nell’agricoltura, fa il trattorista e conosce l’Ilva per aver fatto l’interinale un po’ dappertutto: gru, carrelli, pulizie. «Anch’io spero che mi riprendano. Ho una bella scheda: non ho mai creato problemi, mai uno sciopero». Paura per la salute? «No, e poi ti danno la mascherina e i guanti». Il figlio Raffaele, che freme per portare il risultato positivo della visita medica, non ha dubbi: «Farei qualsiasi cosa, anche di notte». Poco più in là  ci sono quattro ragazzi, tutti pronti a entrare nella stanzetta dei colloqui, dove ad attenderli ci sono due esaminatori del gruppo Trombini (maggior appaltatore dell’Ilva, 900 dipendenti, quasi interamente occupati nei reparti caldi): Michele Basile, 40 anni di Ilva alle spalle, e Claudio D’Abramo, capo del personale. Domanda: possibile che l’azienda assuma mentre stanno per chiudere gli impianti? «Qui c’è sempre bisogno di personale, per sostituire anche chi se ne va. Noi adottiamo la politica dei bravi giovani, da formare. Ne abbiamo presi 400 in due anni, il 30% diplomati». Solo ieri dieci colloqui, 40 nell’ultima settimana, la più rovente dell’anno anche dal punto di vista industriale. 
È il turno di Antonio Miccoli, ventiquattrenne perito elettrotecnico, faccia da bravo ragazzo: «Siamo quattro fratelli e lavora solo mio padre, bobinatore. L’Ilva ti dà  da mangiare. La salute? Il cancro viene a settant’anni». Dopo di lui tocca a Daniele Giura, 27 anni, diplomato in logistica: «Non è il mio lavoro ideale ma vorrei rimanere a Taranto e qui c’è solo questo. La salute? Ci penso, certo».
Mentre l’ufficio di collocamento interno procede a tutto vapore, dall’altra parte della città , fuori del Tribunale, va in scena l’inedito, caloroso applauso da parte di una trentina di capireparto dell’Ilva nei confronti dei loro dirigenti arrestati (ai domiciliari) per disastro ambientale. I sei sono arrivati in tribunale a bordo di sei cellulari per essere interrogati dal gip di Taranto, Patrizia Todisco. «Bravi!». «Non mollare!». Poi spiegano: «Questa è gente che lavora dalla mattina alla sera». «Con i furgoni come i mafiosi, che Italia». I sei manager si sono avvalsi tutti della facoltà  di non rispondere e lo stesso hanno fatto Emilio e Nicola Riva, i proprietari, davanti al gip di Varese. Nel frattempo fervono i preparativi per le manifestazioni: la fiaccolata di questa sera promossa dall’arcivescovo di Taranto, Filippo Santoro, nel rione Tamburi, il più colpito dal punto di vista ambientale; e i cortei di domani, a Taranto, quando il mondo metalmeccanico si fermerà  sventolando una bandiera comune: «Perché lavoro e salute marcino insieme». Cioè, l’azienda non chiuda e continui a risanare l’area dall’inquinamento industriale. Infine, un timore: black bloc. Il coordinamento di cittadini delle associazioni ambientaliste Altamarea ha scritto al prefetto di Taranto denunciando possibili infiltrazioni. «Possono tornare a casa», ha intonato il coro sindacale.


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