«Fecondazione, legge incoerente» La bocciatura della Corte europea

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ROMA — Con una sentenza che ha scatenato subito dibattito e polemiche, la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha bollato come «incoerente» la legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita nella parte in cui pone il divieto di diagnosi preimpianto sugli embrioni. La decisione accoglie il ricorso di due cittadini italiani. Si tratta di una coppia di trentenni, Rosetta Costa e Walter Pavan, che hanno già  un figlio malato, affetto proprio da quella malattia genetica (la fibrosi cistica) che vorrebbero evitare con la fecondazione assistita ad un secondogenito. La legge 40 infatti vieta la fecondazione assistita per le coppie non sterili e vieta di selezionare gli embrioni «ottenuti», «scartando» quelli non sani.
Secondo i giudici della Corte di Strasburgo, la cui decisione diverrà  definitiva solo entro tre mesi e solo se nessuna delle parti farà  ricorso per ottenere una revisione davanti alla Grande Chambre, «il sistema legislativo italiano in materia di diagnosi preimpianto degli embrioni è incoerente», in quanto allo stesso tempo un’altra legge dello Stato permetterebbe alla coppia di accedere a un aborto terapeutico. «Il governo italiano — si legge nella decisione — ha giustificato l’interferenza al fine di tutelare la salute dei bambini e delle donne, la dignità  e la libertà  di coscienza degli operatori sanitari ed evitare il rischio di eugenetica». Secondo la Corte invece «i concetti di “embrione” e “bambino” non devono essere confusi». Non si comprende, scrive ancora la Corte, come, nel caso di malattia del feto, «un aborto terapeutico possa conciliarsi con le giustificazioni del governo italiano, tenendo conto tra l’altro delle conseguenze che questo ha sia sul feto sia, specialmente, sulla madre». La Corte europea, dunque, ha stabilito che così com’è formulata la parte della legge 40 sotto esame ha violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare dei ricorrenti a cui lo Stato dovrà  per di più versare 15 mila euro per danni morali e 2.500 per le spese legali sostenute. 
Di fronte a questa decisione, il ministro della Salute Domenico Balduzzi ha dichiarato che il tema della coerenza tra legge 40 e legge 194, pone un problema che era «già  noto» ma per capire di più occorrerà  prima «leggere la motivazione della sentenza». La questione della diagnosi preimpianto — ha precisato Balduzzi — «nel nostro Paese era già  stata posta da giudici di merito e probabilmente in prospettiva futura sarebbe arrivata anche alla Consulta». Adesso secondo il ministro, serve una «riflessione» «tenendo presenti tutti i valori in gioco, tra cui la soggettività  giuridica dell’embrione».
La bocciatura di Strasburgo ha immediatamente diviso il fronte politico italiano. Da una parte il centrodestra cattolico, con il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi e gli udc Gianluca Volontè e Paola Binetti, ma anche l’ex ministro Maurizio Sacconi, l’ex sottosegretario Eugenia Roccella e il vicepresidente del Parlamento europeo Mario Mauro che hanno difeso la legge, mentre dal centrosinistra e dall’Idv si sono sollevate molte voci a favore dei giudici europei. A cominciare dal vicepresidente del Senato, la radicale Emma Bonino. Secondo esponenti del Pd come Rosa Calipari, il capogruppo dei senatori Anna Finocchiaro, i senatori Ignazio Marino e Vittoria Franco, la radicale Maria Antonietta Farina Coscioni, «è venuto il momento di riscrivere completamente la legge 40, sbagliata, crudele e inumana». Questo sarà  «l’impegno del Partito Democratico», assicura Marino. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Flavia Perina (Fli) e Nichi Vendola, leader di Sel, che parla di sentenza «saggia». Tuttavia non sono mancati i distinguo negli stessi schieramenti. Il capogruppo del Pdl, Fabrizio Cicchitto, parla di «forzature» nella legge 40, e così pure Manuela Repetti, deputata del Pdl (per cui la sentenza tutela «vita e diritti di uomini e donne») mentre per Emanuela Baio (Api) il giudizio di Strasburgo è «superficiale».
Il Centro di Ateneo di Bioetica dell’Università  Cattolica ha parlato senza mezzi termini di «eugenetica liberale». Accusa respinta dal ginecologo Severino Antinori («facciamo la diagnosi solo per malattie genetiche gravi e non per vedere se il bambino è biondo»). Nessun commento, ma soltanto una breve notizia sull’Osservatore Romanoin cui si rende conto della decisione.


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