Sulcis, uno spiraglio dal governo “Soluzioni alternative alla chiusura”

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GONNESA (Carbonia-Iglesias) — La strada che da Iglesias porta a Nuraxi Figus è un lungo cimitero di miniere. Monteponi, San Giovanni, Santa Barbara… Gli scheletri fatti di pietre polverose e di ferro arrugginito coprono grandi pezzi di colline. «Purtroppo siamo l’unico albero vivo dentro a un bosco morto, solo da noi può ripartire la rinascita», raccontano i minatori della Carbosulcis. «È per questo — dice Sandro Mereu, della Rsu — che non possiamo accettare di essere solo “tutelati”, di avere la cassa integrazione o aiuti che porterebbero comunque alla fine della miniera. Il nostro progetto, quello che è stato approvato nel 1994 (produrre energia elettrica e captare l’anidride carbonica) può salvare un ambiente massacrato ed essere un nuovo inizio per tutto il Sulcis ». Il governo apre nuove porte ma la tensione resta alta. «Non sta scritto da nessuna parte — dichiara già  al mattino Claudio De Vincenti, sottosegretario allo Sviluppo — che la miniera debba chiudere il 31 dicembre. La Carbosulcis appartiene alla Regione e questa può deciderne la chiusura, ma secondo il governo sono possibili soluzioni alternative». Parole di speranza, dopo quelle del Presidente Giorgio Napolitano, che i lavoratori della miniera ringraziano con un fax inviato al Quirinale. «Siamo confortati dal suo messaggio, in un momento di grande scoramento e disperazione. Le diciamo grazie a nome di tutto il popolo sardo». Un gesto di cortesia apprezzato dal capo dello Stato, che ha a sua volta risposto: «Cari lavoratori, vi ringrazio per le parole di apprezzamento. Lasciate che vi esprima la più comprensiva personale sollecitazione a superare scoramento e disperazione». Ma anche nel giorno di vigilia dell’incontro di Roma, nei piazzali immensi della miniera risuonano le sirene delle ambulanze. Alle 11,30 si scopre che due operai addetti alla manutenzione dei pozzi non sono risaliti nell’orario stabilito. Le loro medagliette sono rimaste nel reparto dove si ritirano lampade e respiratori. «Si sono barricati — raccontano Ivo Porcu e Franco Fais, che hanno guidato i soccorsi — sotto il pozzo 2, con le gambe nell’acqua e nel fango. Il fondo dei pozzi è lo scarico puzzolente di tutte le porcherie della miniera. La temperatura è di quaranta gradi, si respira anidride solforosa». Questa è la condizione in cui, normalmente, operano gli addetti ai pozzi. Ma i due minatori, Marzio Mattu e Aldo Virdis, ambedue di 52 anni, oggi sono lì per protestare, non per pulire in pochi minuti e risalire in un luogo dove si possa respirare. «Quando li abbiamo raggiunti, scendendo da una “cascana”, un cunicolo che scende accanto ai pozzi, si sono messi a gridare. “Andate via, noi restiamo qui fino a quando non ci sarà  la firma del governo sotto il progetto. Se vi avvicinate scendiamo ancora di più”». Hanno cercato di rassicurarli. «C’è stato il messaggio di Napolitano, il governo ha detto che non chiude la miniera». Tre ore di tensione e di paura. «Anche nel ‘93 avevano fatto promesse che non sono state mantenute. Se non andate via, ci butteremo sul fondo». I nove soccorritori — è una squadra di pronto intervento per gli incidenti sul lavoro — hanno deciso di intervenire con la forza, anche perché i due stavano collassando. «Li abbiamo afferrati e portati su, alle ambulanze. Ma qui ogni giorno cresce il pericolo dei colpi di testa». Nel pomeriggio, nuovo intervento del sottosegretario De Vincenti. «L’incontro sul Sulcis deve essere l’inizio di un percorso di ragionamento. Capisco l’angoscia degli operai ma ribadisco che non esiste nessuna scadenza al 31 dicembre. In un processo di rilancio, tutti i lavoratori saranno tutelati. La situazione non va drammatizzata, non ce n’è nessun motivo». Ma certo i problemi restano. «La Regione deve preparare un nuovo progetto di riconversione sostenibile per la comunità . Quello presentato costa 250 milioni all’anno, per 8 anni, e peserebbe sulle bollette della corrente elettrica di tutti gli italiani». Oggi, ad attendere in miniera l’esito dell’incontro romano, ci sarà  anche Stefano Meletti, che mercoledì si è ferito a un braccio. «Il mio è stato un gesto estremo. Quando togli il posto di lavoro, togli la vita. Io sono un mite, ma quando mi metto i panni del minatore, sento dentro di me una buona dose di pazzia intelligente e di determinazione». Ci saranno molte persone, oggi, nei piazzali della miniera. «Abbiamo chiesto a tutti gli abitanti del Sulcis — dice Sandro Mereu — di venire qui. Abbiamo deciso di non andare a Roma, per non togliere spazio ai lavoratori dell’Alcoa che sono messi peggio di noi. Ma se dalla capitale arriverà  un no al nostro progetto — lo ripeto, noi vogliamo quello, non assistenza — 70 lavoratori continueranno il presidio della miniera e gli altri 400 andranno a Roma. State sicuri, ci faremo sentire».


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