Costi alti, burocrazia e bassa produttività  ecco perché le imprese fuggono dall’Italia

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QUANDO i rappresentanti dell’Alcoa si sono presentati, nei mesi scorsi, al ministero dello Sviluppo, sembravano sinceramente dispiaciuti. Dovevano annunciare la chiusura dell’attività  produttiva in Sardegna: «Non lo facciamo perché ce l’abbiamo con voi, ma perché la situazione lo impone». La situazione, nel caso specifico, è il costo dell’energia. Che in Italia le imprese pagano fino al 30 per cento in più del resto d’Europa. A suo tempo l’Italia era riuscita, aggirando di fatto una normativa europea, a ridurre i costi energetici per l’azienda sarda portandoli a livello degli altri Paesi europei. Ma anche questo non è più sufficiente: «Il fatto – avevano spiegato i dirigenti della multinazionale americana – è che in Arabia Saudita ci offrono di realizzare la stessa produzione pagando l’energia il 40 per cento in meno della media europea».
Quello del costo della bolletta è solo uno dei quattro nodi da sciogliere per far ripartire gli investimenti nel sistema industriale italiano. Forse è il meno complicato da districare perché gli altri tre sono intrecciati tra loro in una sorta di circolo vizioso. L’assenza di un sistema di infrastrutture (logistica e trasporti), soprattutto nel Sud, e la presenza di una burocrazia pervasiva e asfissiante sono la premessa naturale di una produttività  per ora lavorata che è la più bassa d’Europa. A far diminuire l’indice della produttività  contribuiscono organizzazioni del lavoro inefficienti, soprattutto nelle piccole aziende, dati di contesto sfavorevoli e una regolamentazione della prestazione lavorativa farraginosa. Ci sono responsabilità  delle imprese, dei sindacati ma anche della macchina pubblica. Ecco, in sintesi i quattro motivi di fondo per cui non conviene investire in Italia.
Energia.
Il costo del megawatt in Italia è mediamente intorno ai 60 euro, in Germania è di 38, in Spagna di 36. Pesa non tanto la scelta di rinunciare al nucleare quanto l’assenza di un piano alternativo. Si è esagerato nell’incentivo al fotovoltaico (che costerà  90 miliardi ai contribuenti nei prossimi dieci anni) e nella dipendenza dai gasdotti. L’attuale governo ha ridotto gli incentivi al fotovoltaico e punta su altre rinnovabili. Con il fotovoltaico infatti si intasa la rete di energia durante il giorno mentre di notte si vive con le centrali tradizionali che per recuperare gli introiti diurni fanno pagare il megawatt notturno più della media. Un paradosso.
Burocrazia.
Per ottenere l’autorizzazione a realizzare un ca-
pannone industriale in Italia sono necessari 258 giorni, in Francia 184, in Germania 97, negli Usa 26. Per ottenere il pagamento di una commessa dalla Pubblica amministrazione un’azienda privata impiega mediamente 65 giorni in Europa. In Italia aspetta il triplo: 180 giorni, più della Grecia (174).
Infrastrutture.
Nel corso dei decenni l’Italia ha perso il vantaggio competitivo accumulato negli anni del boom economico. L’indice di dotazione di autostrade per abitante era di 154 nel 1970 e si è dimezzato nel 2006 (73). La quota di merci trasportate su ferrovia è rimasta inalterata per 18 anni, dal 1990 al 2008. Il problema riguarda soprattutto il Sud dove non sono previsti collegamenti
ad Alta velocità  ferroviaria nei prossimi anni tranne la Napoli-Bari. La rete ordinaria di strade e ferrovie è invece molto al di sotto delle necessità . Recentemente il ministero di Passera ha imposto per legge la riduzione dei tempi infiniti con cui la Corte dei Conti approvava le delibere Cipe, portandoli da 14 a 3 mesi.
Produttività .
Per effetto di tutti i fattori precedenti e non solo, l’indice di produttività  del lavoro italiano è in fondo alle classifiche. I dati Eurostat, su cui sta lavorando in questi mesi il ministero guidato da Corrado Passera, non lasciano molto spazio alle interpretazioni. Dal 2000 a oggi la produttività  di ogni ora lavorata è salita in media in Europa dell’11 per cento. In Germania l’incremento è
stato del 17, in Francia del 13, in Italia del 3 per cento. L’Italia, con l’1,4 per cento, è all’ultimo posto in Europa per l’incremento di produttività  del lavoro, molto sotto alla Grecia (che ha un incremento superiore alla Germania) e alla Spagna. «Quello della produttività  per ora lavorata è il nostro punto debole», ha rivelato nei giorni scorsi Mario Monti nell’incontro con le parti sociali. Aggiungendo che senza interventi su questo punto la speculazione potrebbe tornare a colpire l’Italia. La domanda che si sentono rivolgere gli uomini delle task force governative in questi mesi è: per quale motivo investire in un Paese che soffre di questi gravi ritardi?


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