Quei giovani che non si rassegnano «Priorità  studio e famiglia»

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MILANO — Della politica bocciano tutto: partiti, parlamento, governo, istituzioni. Ma per fortuna e nonostante tutto non si arrendono: continuano a credere in sé stessi, nell’istruzione, in un futuro cercato magari all’estero. E nella famiglia quale «cellula primaria» del tessuto sociale, pur segnata tanto dalla cultura quanto dalla crisi: da una parte come obiettivo da raggiungere, per farsene una propria; dall’altra come paracadute sicuro a cui tornare, in quella d’origine, quando le cose vanno male.
È questo il pianeta giovanile italiano emergente dall’ultimo capitolo del «Rapporto giovani» promosso dall’Istituto Toniolo e curato — per la realizzazione di Ipsos e col sostegno di Fondazione Cariplo — da un gruppo di docenti di quella Università  Cattolica di cui l’istituto stesso è da sempre cassaforte culturale e finanziaria: complessivamente un campione di 9 mila intervistati, tra i 18 e i 30 anni, che ne fanno una delle ricerche più vaste e rappresentative del settore.
La politica, dunque: in una scala da 1 a 10 il voto più frequente espresso come media dagli under 30 non supera il 2. Con qualche distinguo, certo. I «partiti» nel loro insieme sono stroncati dal 94 per cento degli interpellati, istituzioni quali Camera e Senato sono promosse da appena uno su dieci, il Governo strappa un 17 per cento, la presidenza della Repubblica arriva al 35, meglio di tutti fa l’Unione Europea (una fiducia giovane più in sintonia col Nobel per la pace appena assegnatole che non con l’euroscetticismo di altri) che tuttavia non supera quota 41: e il voto medio, anche qui, è comunque di poco superiore al 4 e mezzo. A metà  strada si piazzano le Regioni col 24 per cento di consensi: ma l’indagine, va detto, è precedente agli ultimi scandali.
In cosa credono allora? Beh, come rilevava il demografo Alessandro Rosina già  nei capitoli precedenti del Rapporto, credono in primo luogo nella famiglia. Anche in senso ideale: il 60 per cento continua a considerarla un «progetto» cui tendere, immaginandola con «due figli» o «anche più di tre» — in 4 casi su dieci — se non fosse per le difficoltà  del momento. Vale a dire che «se questi giovani fossero semplicemente aiutati a realizzare i propri progetti — sottolineano gli autori dell’indagine — la denatalità  italiana sarebbe un problema superato».
Peraltro il 90 per cento considera «normale» essere aiutato dalla propria famiglia di origine anche una volta uscitone, e il 70 per cento è spesso costretto — oggi — a farvi ritorno dopo un primo periodo di lavoro o di studio fuori casa: e questa è la crisi.
Ma la volontà  di reagire c’è. A cominciare dalla fiducia nello studio: la Scuola italiana, intesa come istituzione, raccoglie voti positivi dal 55 per cento degli under 30 e la percentuale tocca il 60 al Nord, anche se poi quasi la metà  degli intervistati (il 33 per cento tra i laureati) dice di aver «trovato un lavoro coerente con gli studi compiuti». Ma non si rassegnano: infatti quegli stessi 50 su cento si dichiarano «pronti a trasferirsi all’estero». Ed è una energia positiva che anche l’Università  Cattolica — come ricorda il direttore del Toniolo, Enrico Fusi — fa di tutto per non disperdere e anzi per promuovere: con il sistema dei suoi nove collegi in Campus, i master e le «Alte scuole», dalla comunicazione alle relazioni internazionali più altre ancora, i corsi di lingue.
Resta, come problema tremendo la cui eventuale estensione rappresenterebbe sì il vero dramma, quel 20 per cento di «Neet»: gli under 30 che «non studiano e non lavorano» e che proprio per questo «sono meno in grado di progettare positivamente il proprio futuro». È il dato da contrastare e che «in periodo di crisi conferma ancora di più l’importanza — concludono gli autori della ricerca — di continuare a credere nelle proprie capacità , anche adattandosi provvisoriamente a un lavoro che nel presente non offre a pieno le condizioni desiderate».
Paolo Foschini


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