L’azienda e il via libera del ministero

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TARANTO — Ci sono colloqui che aprono «scenari assolutamente aberranti» sulla «capacità  di infiltrazione e manipolazione delle Istituzioni manifestata dai vertici Ilva». Così scrive il giudice delle indagini preliminari Patrizia Todisco in un lungo passaggio della sua ordinanza nel quale parla delle pressioni della famiglia Riva per ottenere un’Autorizzazione integrata ambientale «che aderisse il più possibile alle sue richieste». Parliamo dell’Aia firmata dal ministro Stefania Prestigiacomo il 4 agosto del 2011. L’avvocato Francesco Perli (legale e amico dei Riva) è l’uomo di collegamento fra i vertici dello stabilimento e «autorevoli membri della commissione Ipcc» (organo ministeriale per l’istruzione e il rilascio dell’Aia). In una telefonata del 9 giugno 2010 Perli dice a Fabio Riva di aver inviato una nota a Luigi Pelaggi (capo commissione Ipcc) per lamentarsi del fatto che l’Agenzia regionale dell’ambiente (diretta da Giorgio Assennato) prevedeva ostinatamente il monitoraggio continuo delle emissioni rilasciate dalle ciminiere dell’Ilva. Cosa «evidentemente non gradita» annota il giudice. Secondo il racconto di Perli, Pelaggi avrebbe risposto che «su questa roba qua adesso ci vediamo, facciamo una strategia assieme… ho già  dato istruzioni a Ticali (Dario Ticali, presidente Ipcc, ndr) di parlarne con Assennato». Un comportamento che il giudice definisce «spudorato» perché «invece di attutire al massimo l’impatto ambientale» alcuni membri della Commissione ministeriale «organizzavano incontri con la controparte per concertare strategie che potevano portare a un’Aia praticamente scritta dalla controparte stessa». Dice Perli al telefono: «Pelaggi mi ha detto che è tutto sotto controllo (…) che non avremo sorprese (…) perché va un po’ pilotata questa roba della commissione…».
Su quelle operazioni per «pilotare» l’Aia la procura di Taranto ha avviato un nuovo filone d’indagine disponendo accertamenti della Guardia di finanza sia a Bari sia a Roma. I finanzieri lavoreranno sull’iter tecnico e amministrativo, durato quattro anni, che ha portato alla firma dell’ormai vecchia Aia (il ministro Clini ha firmato la nuova poche settimane fa).
«Salta il ministro»
Non è un caso che il gip parli di «un’Aia scritta praticamente dalla controparte», cioè dall’Ilva. E lo si capisce dall’intercettazione del 22 luglio 2010. Al telefono sempre l’avvocato Perli con Fabio Riva. Si parla dell’inerzia di Pelaggi che non si dà  abbastanza da fare per far approvare l’Aia. Perli: «Gli ho detto: guarda che i Riva sono incazzati come delle bisce e poi hanno scritto a Letta (…) si è preoccupato (…) e poi gli ho detto che se le cose stanno così noi mettiamo non in cassa integrazione ma in mobilità  5-6000 persone». E ancora: «Io, guardi, sono andato giù proprio piatto piatto, gli ho detto: guarda che su sta roba qua salta non Ticali, salta la Prestigiacomo». In un altro passaggio della stessa telefonata l’avvocato racconta all’amico Riva che Pelaggi ha provato a placare la sua ira: «Mi ha detto: non dire così. E io gli ho detto: scusa, è da novembre che vengo qui in pellegrinaggio da te… è una roba allucinante. Cioè, cosa dobbiamo fare di più? Ve l’abbiamo scritta noi! Vi tocca soltanto di leggere le carte, metterle in fila e gestire un po’ il rapporto con gli enti locali (…) Comunque bisogna star col fucile spianato». Fabio Riva è d’accordo: «Bisogna stargli addosso».
«Senza parole»
Dopo 520 pagine di considerazioni sul comportamento dei vertici Ilva e sul sistema di pressioni messo in piedi dal loro uomo delle relazioni pubbliche, Girolamo Archinà , il giudice Todisco scrive che tutto quanto si traduce in «un atteggiamento che lascia senza parole e dimostra la volontà  di continuare pervicacemente in una attività  criminale e pericolosa per la salute delle persone». E delle repliche dell’Azienda che ha spesso elencato interventi e spese sostenute, il gip è netto: «Un’abile opera di maquillage».
Giusi Fasano


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