Alitalia, i giudici chiedono ai commissari che fine hanno fatto i soldi dei creditori

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Premessa: in tutto il mondo i commissari che si occupano dell’amministrazione straordinaria di un’azienda rispondono ai giudici, in Italia sono incaricati dai governi e rispondono al Ministro. La procedura fallimentare di Alitalia è una delle più corpose d’Europa. È iniziata 4 anni fa, ma ancora oggi 35.000 creditori, molti dei quali sono al collasso, non sanno quando, e quanto, saranno pagati. Nelle stanze dei commissari la scossa è arrivata il 10 ottobre scorso, quando i giudici delegati del tribunale fallimentare di Roma hanno depositato un decreto che suona come una messa in mora. Chiedono ai commissari Brancadoro, Fiori e Ambrosini cosa stiano facendo da quasi un anno e mezzo, visto che il piano di riparto per liquidare i creditori ancora non c’è. Quando le informazioni non sono complete, i giudici sono obbligati a compiere una sorta di controllo di legalità  dell’amministrazione straordinaria. Ma quello che c’è scritto in quell’atto ufficiale, secondo i commissari, non va diffuso, perché contiene notizie «sensibili e riservate». Cosa c’è di così riservato da tenere nascosto ai cittadini (che stanno pagando il conto) e ai creditori?
La storia inizia nell’agosto del 2008, quando la gloriosa azienda aeronautica di Stato, ridotta a un carrozzone di prebende e dirigenti lautamente pagati, ma non sempre competenti, è ad un passo dal default. Il governo Berlusconi nomina commissario il professor Augusto Fantozzi (ex ministro delle Finanze e del commercio estero) e, in deroga alla legge sulla trasparenza, per vendere Alitalia la divide in due: da una parte la cosiddetta Bad Company, che resta sulle spalle dello Stato, con il passivo di 3,2 miliardi e qualche asset da vendere; dall’altra il buono dell’azienda, con gli aerei e le rotte, consegnata a Cai, la cordata di imprenditori guidata da Banca Intesa. Se la comprano per circa 1 miliardo, ma pagando cash al commissario solo 252 milioni, il resto è accollo di debiti. Cai ingloba anche l’Air One, e in deroga all’Antitrust ottiene dal governo il monopolio sulla rotta Roma-Milano. Un’operazione voluta da Berlusconi a tutti i costi, tant’è che per portarla a termine il governo ha dovuto «forzare» regole e costruire decreti ad hoc, anche quello, anticostituzionale, che garantiva l’immunità  agli amministratori che hanno gestito il periodo di transizione.
Nel febbraio 2011, il commissario Fantozzi presenta la sua relazione finale. Ha venduto, o meglio, svenduto, quasi tutti gli asset rimasti allo Stato: il Cargo, la manutenzione, i call center, gli ex magazzini, le opere d’arte. Realizza più di 1 miliardo, ma, tolte le spese, restano circa 400 milioni da suddividere tra i creditori. Prospetta un piano per il riparto, sapendo che potrebbe recuperarne altri 500 grazie alle revocatorie. Dalla documentazione depositata presso il Tribunale fallimentare diverse banche (Intesa, Veneto Banca, Cassa di Risparmio Firenze), aeroporti e aziende (da Sea ad Adr) devono restituire quello che è stato loro saldato dalla vecchia Alitalia a ridosso dell’insolvenza, quando il dissesto era ormai evidente. Si ipotizza che anche il famoso prestito ponte di 300 milioni di euro, concesso da Prodi ad aprile 2008, «perché non c’erano più i soldi per il carburante», sia stato utilizzato per pagare in fretta e furia alcuni creditori privilegiati. Un prestito che l’Unione Europea aveva imposto di restituire allo Stato in tempi brevi, ma ancora oggi nessuno sa che fine abbiano fatto quei 300 milioni. Fantozzi, a luglio 2011, presenta al ministero dello Sviluppo anche azione di responsabilità  nei confronti dei vertici della vecchia Alitalia, per aver mal gestito l’azienda dal 2002 al 2008. Nell’azione include 43 ex dirigenti, tra i quali gli ex Presidenti Libonati, Prato, Police, e gli ex Amministratori delegati Mengozzi e Cimoli. Quest’ultimo, secondo le carte, avrebbe, per esempio, affidato alla società  McKinsey una «consulenza triennale e straordinaria» da 58 milioni e 800 mila euro, «estremamente gravosa» per l’azienda già  in dissesto, e «in sostanziale sovrapposizione con le prestazioni già  rese, con conseguente dannosa duplicazione di interventi e competenze». Passa qualche giorno, e il governo infila in finanziaria una norma straordinaria: «Per accelerare la procedura occorre affiancare a Fantozzi altri 2 commissari». Siccome un fatto del genere non era mai successo, Fantozzi deduce che sia venuta meno la fiducia del governo nei suoi confronti e, quattro giorni dopo, con in tasca il compenso di 6 milioni, si dimette.
Da allora al suo posto ci sono i professori Gianluca Brancadoro, Giovanni Fiori e Stefano Ambrosini. La legge prevede che ogni 4 mesi venga presentato un piano di riparto, ma dopo un anno e mezzo nulla è stato fatto. Per questo i giudici delegati, con il decreto del 10 ottobre, chiedono ai nuovi commissari di provvedere urgentemente. Ma chiedono anche come mai stiano riesaminando le azioni di responsabilità , corredate da corposa documentazione, e le revocatorie disposte da Fantozzi. Le perizie prodotte da KPMG e dai prestigiosi studi legali di cui l’ex commissario si è avvalso, sono forse sbagliate? È importante saperlo, perché se hanno commesso errori, i loro onorari non devono essere saldati. E anche lo stesso Fantozzi, se ha sbagliato tutto, dovrebbe restituire i 6 milioni di compenso. Secondo i giudici i nuovi commissari, richiamano «generiche criticità » ma senza spiegare in cosa consisterebbe la «non esatta impostazione degli atti di citazione predisposti dai precedenti legali». Intanto hanno assunto un nuovo advisor e altri legali, e alcuni sono gli stessi che rappresentano gli interessi di aziende e banche che dovrebbero restituire quanto incassato dalla vecchia Alitalia. Anche il commissario Ambrosini sarebbe in conflitto d’interessi, visto che da luglio è nel consiglio generale della Compagnia di San Paolo, principale azionista di Banca Intesa.
Insomma i giudici chiedono di chiarire e documentare, e di farlo in fretta, perché alla loro porta ogni giorno bussano i creditori con l’acqua alla gola; inoltre, dilazionando i tempi, l’azione di responsabilità  rischia la prescrizione. Dispongono infine la pubblicazione del decreto sul sito dell’amministrazione straordinaria, affinché i creditori ne siano a conoscenza. Sono passati quasi 2 mesi, ma del decreto non c’è traccia. In compenso i commissari hanno scritto a noi, e al direttore generale della Rai, chiedendo che Report non ne divulghi il contenuto. In altre parole: i creditori e l’opinione pubblica non devono sapere come i commissari si stanno organizzando per ripagare almeno in parte, o non ripagare, i 3 miliardi di debiti scaricati sullo Stato con la vendita di Alitalia. Un’operazione condotta nel 2008 da Banca Intesa guidata da Corrado Passera. La stessa Banca Intesa che oggi, salvo prova contraria, dovrebbe restituire ciò che ha indebitamente incassato. Ed è sempre lo stesso Passera che oggi, in qualità  di ministro dello Sviluppo, sta sorvegliando il lavoro dei commissari. Lo farà  certamente nell’interesse del Paese. Ma la bilancia penderà  dalla parte dei creditori o della banca che dirigeva fino ad un anno fa?
Milena Gabanelli
Giovanna Boursier


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