«Resistere ancora con l’art. 18»

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«La disoccupazione cresce a causa della crisi. Le riforme del lavoro introdotte dalla ministra Fornero non credo che incideranno nè in direzione di una ripresa, nè in quella di un aumento sensibile dei disoccupati. Semplicemente: danno uno strumento in più alle imprese per licenziare, anche in casi di illegittimità ». Andrea Lassandari è docente di Diritto del lavoro presso l’Università  di Bologna e membro della Consulta giuridica della Cgil. Ha partecipato alla stesura di un volume in uscita per Ediesse il prossimo gennaio (ma scaricabile già  questo mese dal sito ediesseonline.it): Rapporto di lavoro e ammortizzatori sociali dopo la legge 92/2012 (appunto, la legge Fornero, ndr).
Non c’è insomma un legame diretto tra l’aumento esponenziale della disoccupazione e la riforma Fornero. 
Esatto, non credo che la maggiore flessibilizzazione in uscita possa essere la ricetta per una ripresa, nè d’altronde dà  strumenti nuovi alle imprese che devono tagliare a causa della crisi: perché i licenziamenti economici giustificati erano già  legittimi con il vecchio articolo 18. Piuttosto, credo che aumenti il potere dedell’impresa sul dipendente nel posto di lavoro, visto che adesso le protezioni contro i licenziamenti illegittimi sono molto più deboli, se si escludono quelli per motivi discriminatori e pochi altri casi. 
Cosa cambia esattamente?
Prima c’era una grande area, quella dei licenziamenti illegittimi, che nelle imprese sopra i 15 dipendenti veniva sanzionata in un solo modo, ovvero con la reintegra «forte»: cioè rientro nel posto di lavoro e risarcimento, sia sul piano della retribuzione che su quello dei contributi, di tutti gli anni persi per la causa. Oggi, al contrario, questo articolo 18 «pieno» si è ristretto ai soli licenziamenti discriminatori, e per quelli non in forma scritta, o fatti in concomitanza di un matrimonio, di una gravidanza, di un congedo parentale. Per tutti gli altri casi, sono previsti altri tre tipi di sanzioni, una più debole dell’altra: il 18 «attenuato», cioè il reintegro ma con massimo un anno di stipendi risarciti; la sola indennità  da 12 a 24 mesi di stipendi; o una da 6 a 12 mensilità . 
Quindi sarà  più rischioso fare causa. Sì, ritengo che si centri in questo modo uno degli obiettivi delle imprese: dissuadere il lavoratore dal fare causa, visto che non può stare fermo i quattro e più anni del processo senza stipendio. E aggiungo che essendo la riforma tecnicamente pasticciata, visto che è nata dai compromessi tra i differenti partiti della maggioranza, credo che aumenterà , almeno nei primi anni, la confusione e l’incertezza. Con sentenze spesso molto diverse a seconda dei diversi giudici e tribunali, perché per alcuni versi può aumentare il loro spazio di arbitrio. Poi, magari, il tutto si stabilizzerà  entro un decennio, con gli interventi della Cassazione.
Quali strategie potrebbe adottare la difesa del lavoratore per tutelarlo, magari recuperando il vecchio articolo 18?
Quello che faranno i difensori del lavoratore, con molta probabilità , sarà  presentare tante richieste subordinate. E cioè in via principale chiedo il reintegro pieno sul presupposto del licenziamento discriminatorio; poi il reintegro debole con il risarcimento massimo di 12 mesi; e via via l’ indennità  da 12 a 24 mensilità , e infine da 6 a 12 mensilità . E se in passato proprio il licenziamento discriminatorio era il più difficile da affrontare, perché il lavoratore deve dimostrare l’elemento soggettivo, cioè l’intenzione del datore di lavoro di discriminarlo, d’ora in poi credo che diventerà  invece l’area di maggior addensamento delle cause. Anche i giudici, ritengo, faranno sempre più attenzione a questa tipologia. 
Il licenziamento per motivi economico-organizzativi invece resta il vero anello debole: lì le imprese hanno vinto. 
È vero che questo è stato l’oggetto di maggior disputa politica, ma grazie alla resistenza del Pd in Parlamento, di altre forze fuori e della Cgil, il governo e la Confindustria non hanno ottenuto che fosse eliminata del tutto la possibilità  del reintegro. In ogni caso, l’illegittimità  viene sanzionata solo con il 18 «debole», e con due presupposti: innanzitutto si deve dimostrare la «manifesta insussistenza del fatto» contestato al lavoratore. E poi il giudice non è comunque obbligato a reintegrare, ma secondo la legge «può» farlo. Quindi, ancora una volta, c’è spazio per arbitrio e interpretazioni. In alternativa, il giudice potrà  ordinare semplicemente l’indennità  da 12 a 24 mensilità .
Come agisce invece la riforma Fornero sui diversi rapporti di lavoro atipici?
Il presupposto della riforma era che si flessibilizzava l’uscita, restringendo a fronte il campo dei rapporti atipici, con il ritorno alla centralità  del lavoro subordinato a tempo indeterminato. Mi pare che il primo presupposto sia stato rispettato in pieno. Sul secondo, invece, il risultato non mi sembra centrato: ma distinguerei tra gli interventi sui parasubordinati/autonomi e quelli sui flessibili subordinati. Sui non subordinati, tendenzialmente si è ristretto l’utilizzo, riducendo la flessibilità . In alcuni casi di più: per i voucher c’è stata una forte restrizione; così anche per il lavoro a progetto. Una restrizione un po’ più debole si è vista per gli Aspo, o associati in partecipazione. Fino ad arrivare alle partite Iva, dove di fatto l’intervento restrittivo è stato minimo. E in questo modo, ovviamente, si rischia il «travaso» dalle forme oggi più vincolate, come il lavoro a progetto, verso quelle su cui si è intervenuti meno, cioè le partite Iva o le imprese individuali. 
Per i subordinati invece cosa cambia?
Ecco, lì al contrario c’è stata una liberalizzazione che in alcuni casi si può definire grave, selvaggia. Per il primo anno dei contratti a termine è stata tolta la causale: il che significa che potremo avere dei veri e propri contratti «usa e getta». Così è stato incrementato anche l’interinale; mentre l’apprendistato non ha guadagnato nulla sul piano della formazione


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