Siria, rapito un ingegnere italiano

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ROMA — In quella terra di nessuno che è in questo momento la Siria, dove il nostro Paese non ha più da tempo alcuna presenza diplomatica, la scomparsa di Mario Belluomo, sessantatreenne ingegnere elettromeccanico catanese, è da ieri pomeriggio ufficialmente un sequestro di persona. E sia nelle parole del ministro degli Esteri Giulio Terzi («La sua incolumità  è la nostra priorità  ed è indispensabile in questo momento mantenere il massimo riserbo»), come in quelle della famiglia («Chiediamo il silenzio stampa») il canovaccio di queste ore torna ad essere quello di sempre. Una corsa contro il tempo per chiudere entro due, tre giorni, e comunque un tempo ragionevole, una trattativa per il rilascio con quelli che si ritengono i sequestratori. Una trattativa che in qualche modo sarebbe cominciata con i canali che la Farnesina è riuscita a coltivare. Ma che va appunto chiusa prima che l’ostaggio possa essere scambiato di mano o venduto e dunque salga il prezzo della sua libertà .
E dunque prima che un atto di banditismo si impasti con altre matrici di segno politico, il che renderebbe la matassa più difficile e costosa da districare. Non fosse altro perché di ostaggi, in questa storia, ce ne sono altri due. Cittadini russi entrambi ed entrambi colleghi di lavoro di Belluomo nella “Hmisho Steel sa”, società  siriana di produzione di semilavorati dell’acciaio per costruzioni edilizie e di importexport di automobili da Cina e Iran. Un’azienda di 500 dipendenti con base a Latakia, il principale scalo portuale nel nord del Paese, e un mercato che copre l’intera area del Golfo Persico.
Belluomo lavora per la “Hmisho” dal 29 settembre scorso, quando, in piena guerra civile, arriva in Siria, a Tartus, piccola città  sul mare a 40 chilometri dallo stabilimento siderurgico dove era impiegato, sede di una importante base militare e di intelligence di Mosca, enclave che conta il maggior numero di cittadini russi residenti in Siria. Belluomo — a stare alle informazioni raccolte dalla nostra diplomazia e dal Ros dei carabinieri — era stato convinto ad accettare quel lavoro da un intermediario italiano, Marco Zavarini. E, a quanto pare — e per quanto raccontano i suoi familiari — il suo soggiorno a Tartus, (dove risiedeva in un albergo), in una zona sotto il controllo pieno delle forze governative e delle milizie alawite (la minoranza sciita cui appartiene la famiglia di Assad), non sembrava preoccuparlo.
A torto, evidentemente. Perché — e siamo alla cronaca monca e confusa di questi ultimi giorni — alla fine della settimana scorsa, l’ingegnere non risulta più raggiungibile telefonicamente dai fratelli. Che, allarmati, informano la Farnesina. Ed è a questo punto che quello che, almeno nelle intenzioni della nostra diplomazia e della famiglia Belluomo, dovrebbe restare un segreto in grado di rendere “lampo” il sequestro, cessa di essere tale. Domenica mattina, infatti, lo stabilimento della “Hmisho” di Latakia, dove Belluomo lavora, comunica ufficialmente, attraverso i canali del governo siriano, che l’ingegnere italiano e due suoi colleghi russi, sono stati sequestrati.
Dove, come e con quali moda-lità , ancora ieri sera, non era tuttavia affatto chiaro. Come se il sequestro non avesse avuto testimoni. Ma come se la stessa proprietà  dell’acciaieria fosse in qualche modo in contatto con i sequestratori. Indicati in queste ore dalle autorità  siriane come “miliziani insorti”, in un gioco di
reciproche accuse tra lealisti e opposizione, che già  l’Italia aveva conosciuto in occasione dell’ultimo sequestro di cittadini italiani in Siria (storia del luglio scorso, quando due dipendenti di una ditta subappaltatrice della Ansaldo erano stati fermati sulla strada per l’aeroporto di Damasco).
Le prossime ore e i prossimi giorni diranno se il nostro Paese, attraverso i nostri canali diplomatici e di intelligence riuscirà  rapidamente a venire a capo dell’ennesima crisi con ostaggi (l’altro italiano ancora in mano ai suoi sequestratori in quel del Pakistan dal gennaio scorso è il cooperante siciliano Giovanni Lo Porto). Che certo non è resa più semplice dalla notizia, anche questa di ieri, della scomparsa in Siria di Richard Engel, capo dei corrispondenti della rete televisiva americana
Nbc, e del suo stringer turco Aziz Akyavas.


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