Autoscontro a sinistra

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Fra Vendola e Ingroia lo scontro si fa pesante: «Vi scioglierete già  il 26 febbraio». «La vostra è un’alleanza apparente, il Pd sceglierà  Monti» I numeri dei sondaggi ballano e a sinistra salgono i decibel, con buona pace delle buone intenzioni di fair play fra ex compagni di partito, anzi dei diversi partiti di derivazione Bolognina ’89.
Negli scorsi giorni fra Sel e rossi-arancioni c’è stata già  qualche collisione sul «voto utile» chiesto da Vendola a danno degli «ingroiani», tanto che il leader di Sel ha aggiustato il tiro evitando un argomento urticante a sinistra , e nel passato tante volte usato contro quel Prc da cui lui stesso è uscito nel 2009. Ma il tasso di scontro ieri ha subìto un’impennata. Lo si è capito dal mattino, quando Ingroia è finito al centro della polemica per aver paragonato le critiche che riceve con quelle toccate a un simbolo della lotta alla mafia, Giovanni Falcone, attaccato dai colleghi, amici e nemici, quando nel ’91 accettò di dirigere gli Affari Penali del ministero di Grazia e Giustizia allora retto dal socialista Martelli.
Su Repubblica.tv Vendola attacca: «La lacerazione della storia dell’antimafia non è una buona notizia. Comunque non alimento polemiche nei confronti di Rivoluzione civile, pur essendo stato oggetto di un’aggressione con l’accusa di essere un complice di Monti. Io ho cercato di fare il pontiere, di tenere aperto il dialogo tra il centrosinistra e la lista Ingroia ma non dev’essere servito granché. Tra noi non c’è il problema Monti, c’è il ripetuto attacco al Quirinale che reputo politicamente sbagliato». Ma il veleno sta nella coda dell’affermazione. E la coda è: «Il 26 febbraio Rivoluzione civile non ci sarà  più e torneranno Idv, Pdci, Prc e Verdi». Un colpo basso, che rende pubblico su un dubbio che in effetti chi oggi lavora con Ingroia ha davvero: ovvero che i partiti della «cabina di regia» della Lista (Idv, Prc, Pdci e Verdi), dopo i «passi indietro» imposti dal pm come condizione per correre da premier, una volta ottenuto il rientro in parlamento si comportino, per così dire, in maniera autonoma.
Ma Ingroia la prende malissimo e rende pan per focaccia: «La mia non è una coalizione ma una lista che diventerà  un gruppo parlamentare unitario. Quella di Vendola invece è una coalizione che non ci sarà  più quando Bersani farà  il governo con Monti. Siccome questo si sa già  mi domando, sarò retorico, che ci sta a fare Vendola in questa coalizione apparente». A sua volta anche Ingroia dice a voce alta un boato – forse un auspicio – che circola negli ambienti della sinistra radicale. Ovvero che all’indomani del voto Bersani si troverà  di fronte all’aut aut che Monti già  gli lancia ogni giorno per costruire un’alleanza «fra riformisti»: scegliere fra Lista civica e Sel. Tant’è che venerdì scorso Bersani l’ha dovuto dire chiaro e tondo in una conferenza stampa: chi pensa «che io molli Vendola se lo levi dalla testa». Sel del resto ha fatto voto di unità  e ha firmato la «carta d’intenti» che prevede le decisioni dei gruppi parlamentari a maggioranza. E nel suo gruppo dirigente ogni ipotesi di divisione dopo il voto viene respinta senza subordinate.
Ma il punto resta. Ieri Bersani ha invitato i centristi a «una seria riflessione sulla Lombardia», che rischia di essere consegnata alle destre. Per risposta Monti ha avvertito che se Vendola «avesse un grande impatto nel governo, prima che i mercati si accorgano che è un solido cultore della tenuta dei conti, qualche problemino ci sarebbe». «Il rischio è la palude e l’ingovernabilità », replica Vendola, «e io non nuoto nella palude».
Intanto con Ingroia i colpi bassi continuano via twitter, da dove si propagano nei social network fra militanti e simpatizzanti. Una scazzottata di massa che assomiglia a una rissa da saloon versione on line. L’ex pm lo accusa di stare con Monti? «Se Ingroia fosse entrato nel centrosinistra, il problema di Monti e di Berlusconi ora non esisterebbero», scrive Vendola. Ingroia respinge al mittente: «Caro Nichi, tu volevi l’accordo. Chiedi a Bersani perché non l’ha voluto». I suoi ricordano che è stato reso pubblico il messaggio che il 22 dicembre l’ex pm ha mandato a Bersani «L’ho cercata al telefono ma non mi ha risposto. Avrei bisogno di parlarle se avesse l’opportunità  di farlo». All’sms non è arrivata risposta. Erano arrivate invece le telefonate di Violante e Franceschini che proponevano una desistenza unilaterale nelle regioni in cui al senato il centrosinistra arranca. Oggi nei sondaggi il Pd flette, e flette Sel, stretta nello scontro.
Ma anche i ‘rivoluzionari civili’ non la pensano tutti uguale. Ieri Paolo Ferrero, Prc, ha aperto cautamente a Debora Serracchiani, candidata Pd alla presidenza del Friuli. Alla quale Di Pietro ha già  detto sì. «Il confronto non è ancora avvenuto e si deciderà  sulla base dei programmi. Anche se è evidente che un’alleanza del centrosinistra con l’Udc sarebbe un problema, riverberandosi sui contenuti», dice Ferrero. Lo stesso problema che si porrebbe alle camere, se i voti rosso-arancioni fossero determinanti per la nascita del governo Bersani. Ma lo scontro ormai ha toni che difficilmente potranno rientrare a stretto giro. Leoluca Orlando, oggi braccio destro di Ingroia ma negli anni 90 fra quelli che criticavano Falcone, versa benzina sul fuoco: «È Vendola che rischia di scomparire e ben prima del 24 febbraio. Gli italiani hanno compreso che il leader di Sel ha dimenticato la sua storia ed oggi è un alleato di Monti. Il prossimo governo Bersani-Vendola-Monti si appresta a eliminare le speranze degli italiani e, soprattutto, dei tanti giovani disoccupati».


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