Le comiche di Silvio tra manette e lavagne

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SEMPRE più il Cavaliere appare su di giri. Se spettacolo ha da essere, questa sciagurata tele-politica, lui ci dà  dentro. Ieri ha incontrato Ingroia e ha fatto il gesto delle manette. Tutti ridevano intorno a loro – e anche dopo, per spiegare il contagioso siparietto, al magistrato è parso naturale evocare con un sorriso l’Inter, il Milan.
Berlusconi è un grande mimo. Negli annali visivi della Repubblica lo si è visto sigillarsi la bocca, far scorrere sulla fronte l’ideale scritta «Che ci ho scritto giocondo?» e fingere un malore dopo aver assaggiato una mozzarella. E se a Bush ha mostrato e fatto toccare i muscoloni, al cospetto di Putin si è esibito nel numero muto della mitraglietta (facendo piangere una giornalista russa che aveva fatto all’autocrate una domanda irritante). A volte per lui la parola, che pure maneggia con narcotica perizia, è puro optional; e a graziosa riprova valga il primato, ex aequo con Bossi, che lo vede l’unico leader che ha completato il tris dei gestacci: corna, dito medio e gesto dell’ombrello.
Oggi non ha molto da perdere (Palazzo Chigi, Quirinale, moglie, reputazione) e quindi sta dando il meglio di sé, che spesso coincide con il peggio. Lasciato da Veronica, cacciato dal governo, inseguito dai giudici, svergognato dalle amichette e tradito da un certo numero di fedeli, Berlusconi ha visto la fine e ora la butta in burla, in vacca, in caciara. Comunque è impossibile contenerlo, oscurarlo, ignorarlo. Con la piena consapevolezza che si tratta di un termine impegnativo, si può ipotizzare che ancora disponga di un potere ipnotico. Lo spettacolo, del resto, nasce prima della democrazia, e non di rado il pagliaccio gioca con lo scettro, lo lancia per aria, lo fa cadere, fa finta di non trovarlo più.
Non s’inventa nulla. Sulla scena, le buffe mosse e inattese del l’iperattivo Cavaliere attirano l’attenzione e spiazzano gli interlocutori. Dietro alle innocenti gag non è difficile che si nascondano complesse interazioni. Nella pulizia della sedia di Travaglio, per esempio, Marco Belpoliti, autore de Il corpo del capo (Guanda, 2009) ha individuato un rituale di allontanamento dell’impurità . Tra magia e antropologia, al termine dell’auto-immunizzazione Berlusconi ha sfoderato il più accattivante dei sorrisi. È Pierino, Pinocchio, Giamburrasca, «un monello di 76 anni» l’ha qualificato il suo Giornale, sottolineandone «il fascino tremendo». E infatti sempre lui scherza, ammicca, fa le facce, da di gomito, strizza l’occhietto e il pubblico pensa: che simpatico! Ma è anche, anzi è proprio per questo che Berlusconi fa paura. Guai a scandalizzarsi, guai a dirglielo, in tal caso assume un registro pedagogico e ammonisce: «Diffidate sempre di chi non sa ridere ». Che un po’ sarebbe anche vero, ma diamine!
Quando ritornò al potere, primavera del 2008, nel discorso parlamentare d’insediamento fece l’imitazione di Crozza che imitava Veltroni. Scrisse allora il Foglio:
«Sarà  il governo del Buonumore». Commentò Ian Buruma, studioso di civiltà  orientali: «È la rivincita dei clown». Dove abbiano portato l’Italia l’uno e l’altra è qualcosa che il Berlusconi di questi giorni sta cercando disperatamente di soffocare dietro un dispositivo al tempo stesso comico e dissennato, parossistico e trasgressivo, un carnevale esteso e continuato, un sogno selvaggio che come al solito proiettava sul gentile pubblico non pagante la sua stessa figura eccessiva, borderline, in carne e ossa e artifici vari.
Nel frattempo, protagonista di se stesso, egli ha accarezzato e toccato pance di gestanti, allacciato e slacciato bottoni delle giacche; ha messo la mano sotto il naso di Vespa perché sentisse «odore di santità  »; ha fatto il cucù alla Merkel e golosi complimenti a Michelle Obama; ha giocato a calcio con un’arancia, è salito sul predellino, ha mostrato la maschera di sangue, si è addormentato in ogni luogo, compresa la messa per la beatificazione di Papa Wojtyla e una riunione europea al termine della quale Parigi e Berlino si sono fatte beffe di lui – e ride male, in realtà , chi ride penultimo.
Fra mille travestimenti e la più turbinosa ostentazione di copricapi, nel censimento delle maschere e delle metafore trovano ovviamente un posto d’onore le narrazioni orgiastiche del bunga bunga, poi commutato in burlesque, ma pur sempre eseguito a corte grazie ai costumi di scena forniti da quel gentiluomo di Gheddafi. Adesso però c’è la ragazza di 29 anni, ritratta al pranzo di Natale davanti a una sedia tutta infiocchettata, ma soprattutto nell’autoscatto di lei e di Marina, la figlia, che protendono i labbroni.
Anch’essa un’immagine sgranata di questo tempo, degna di figurare come emblema sulla lavagnetta che Berlusconi batte sulla testa dei giornalisti. A suggello di un legame inconfessabile, estremo, allegro e desolato messaggio a tutti coloro che ai margini del sistema ne desiderano di cuore l’abbattimento.


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