Fiscal compact e pareggio di bilancio: tra Scilla e Cariddi

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Non esistono soluzioni facili che risolvono i problemi complessi: ma proprio per questo bisogna ridiscutere tutto, anche la partecipazione ad un euro che, con il fiscal compact, è diventato un capestro per l’Italia. Essere europeista, come chi scrive e come la maggioranza del popolo italiano, non significa consegnarsi mani e piedi alla politica suicida della Germania, e del centrodestra di Angela Merkel. Ridiscutiamo senza pregiudizi: anche perché queste elezioni ci dicono chiaramente che le politiche di sacrificio senza sbocchi sono rifiutate dagli elettori, e che la sinistra deve riconsiderare le sue certezze se vuole davvero rappresentare le istanze popolari.
I crudi fatti : il Pil italiano è tornato ad essere quello del 2000, cioè la nostra economia produce oggi più o meno quanto produceva prima dell’euro, circa 12 anni fa. Però oggi, a differenza che nel 2000, la disoccupazione ufficiale è del 12% (quella reale è ancora più elevata) e la diseguaglianza è cresciuta moltissimo. Il nostro debito è aumentato a oltre il 125% del Pil, il sistema industriale si è indebolito, e le nostre industrie e le nostre banche sono oggetto di desiderio per gli investitori esteri.
Qualcuno potrebbe ribattere: siamo messi male, ma il futuro grazie all’euro, sarà  migliore. Non è così:il futuro si chiama pareggio di bilancio e fiscal compact. Il pareggio di bilancio è diventato norma costituzionale approvata da Monti, Berlusconi e Bersani. Il pareggio del bilancio statale mette fuori legge le politiche keynesiane di spesa pubblica e minaccia di strangolare definitivamente l’economia italiana già  soffocata dalla necessità  di restituire all’estero il debito pubblico nazionale con elevati tassi di interesse. Il fiscal compact è anche peggio. E’ il trattato intergovernativo imposto dalla Germania di Merkel e approvato dal parlamento italiano: obbliga al rapido rientro dal debito pubblico. Ogni anno per 20 anni dovremo sopportare 45 miliardi di tagli alla spesa pubblica, ai redditi da lavoro, alle pensioni, a scuola, sanità , comuni, ecc. A confronto la spending review cancella spese per circa 29 miliardi in tre anni. 
Il fiscal compact – come ha dimostrato matematicamente Luciano Gallino nel suo lucido articolo su Repubblica dell’8 gennaio “Il baratro fiscale dell’agenda Monti” – è un cul de sac, una strada senza uscita, e ci porterebbe alla recessione più nera, a licenziamenti di massa, e quindi alla depressione e paradossalmente all’aumento ulteriore del debito e quindi al default (fallimento). Il fiscal compact e il pareggio di bilancio messo in Costituzione nel silenzio generale e quasi all’unanimità  – i contrari sono stati solo l’Idv e la Lega – sono dei cappi al collo, una cessione di sovranità  alle banche estere, e rappresentano una vergogna politica anche per il Pd che li ha fatti passare senza neppure un dibattito pubblico. E’ matematicamente impossibile rispettarli e contemporaneamente rilanciare l’economia e l’occupazione (a meno di credere che San Gennaro ci faccia il miracolo). Le speranze di Pd e Sel in questo senso sono illusorie.
La verità  è che navighiamo tra due mostri: il fiscal compact è Scilla ma dall’altra parte c’è Cariddi. Se abbandonassimo l’euro e introducessimo una lira svalutata – affermano con giuste ragioni gli economisti soprattutto di sinistra – faremmo un grande salto nel buio. Precipiteremmo nel gorgo dell’inflazione, pagheremmo di più le importazioni, non troveremmo più credito sul mercato finanziario internazionale, affronteremmo barriere doganali altissime, fallirebbero molte aziende; e alla fine rovinerà  l’intero progetto politico europeo. Quindi, obtorto collo, è molto meglio rimanere nell’euro a guida tedesca. Altri economisti – come Loretta Napoleoni – affermano invece che, se abbandonassimo l’euro in questa fase di “guerra valutaria globale” in cui tutti i paesi del mondo fanno svalutazioni competitive, la nostra economia dopo qualche anno si rivitalizzerebbe con le esportazioni, come è sempre successo in passato grazie alle svalutazioni della lira. E il progetto europeo non morirebbe. 
Dobbiamo ammettere che Grillo e il Pdl (che pure ha votato a favore) hanno molti buoni motivi per dire che con il fiscal compact ci siamo consegnati mani e piedi alla Germania. Per avere una qualche speranza di successo nelle negoziazioni, forse bisognerebbe che l’Italia si decidesse a minacciare l’uscita dalla moneta europea: la Germania non potrebbe tollerare il crollo dell’euro che la precipiterebbe nella crisi bancaria ed economica. Facendo perdere le elezioni alla Merkel. Se invece l’Italia continuasse a negoziare assicurando che comunque rimarremo per sempre e comunque legati al carro dell’euro, saremo probabilmente sconfitti in partenza, e non riusciremo a ottenere nulla. Del resto anche il vecchio Pci cercò di porre dei paletti quando l’Italia aderì al Sistema Monetario Europeo, e lo stesso Giorgio Napolitano nel 1978 in Parlamento votò contro l’adesione immediata allo Sme dichiarando che senza adeguate contropartite dalla Germania il vincolo europeo sulla moneta sarebbe stato controproducente per l’Italia. Il vero problema è che oggi la situazione è ancora più difficile.


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