“La politica dell’austerità  è un suicidio e alimenta i nuovi movimenti anti-euro”

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ROMA — «Chiunque avalli l’uscita dell’Italia dall’euro si porterà  la responsabilità  di aver causato una spaventosa destabilizzazione globale, con effetti e durata imprevedibili ma sicuramente pesanti e non brevi». Paul de Grauwe, capo dell’European institute dalla London school of economics nonché consulente di Barroso alla Ue, vede con terrore la tentazione di exit strategy che si fa strada nel nostro Paese: «Non bisogna rifiutarsi a priori di confrontarsi con tale ipotesi. Potrebbe anche essere che dopo due-tre anni o forse più, si riesca alla fine a trarne vantaggio. Ma il problema è che nel frattempo ci sarebbe un aggravamento a picco della recessione in Italia con impennate dei tassi, inflazione alle stelle e moti di piazza sempre più violenti. Anche le tensioni internazionali crescerebbero verticalmente. Insomma l’operazione è troppo rischiosa, è un passo che non si può fare perché l’azzardo supera grandemente i possibili futuri benefici».
Quando era in discussione l’uscita della Grecia si è scoperto che un’ipotesi del genere non era neanche prevista nei trattati. Ora come potrebbe fare l’Italia?
«Non mi fiderei delle norme. È vero, non è prevista, ma sono sicuro che gli avvocati troverebbero il modo per rendere possibile l’uscita. Nessuno può costringere l’Italia a restare nella moneta. È un problema politico, non tecnico».
Altri seguirebbero?
«Con ogni probabilità , a partire naturalmente dall’area del contagio, cioè i Paesi che sapete benissimo. Ma a quel punto monterebbe anche la pressione sulla Germania da parte dei residui partner forti: se tutti se ne vanno, cosa stiamo a fare qui a tenere in piedi l’euro?»
Lei è consulente di Barroso. E’ sicuro che l’Europa non abbia responsabilità  nell’aver determinato quest’insofferenza?
«Al contrario, l’Europa ha colpe enormi. È assolutamente vero che una politica fatta di austerity ad ogni costo rischia di dilazionare sine die la ripresa italiana. Spero che si sia ancora in tempo per avviare misure concrete di rilancio della crescita: ad esempio ricapitalizzando la Banca europea degli investimenti a spese dei Paesi in surplus, Germania in testa, rendendola così in grado di avviare misure infrastrutturali paneuropee. Serve un profondo cambio di mentalità : lo sa che in Germania agli industriali viene raccomandato di non investire fuori dal territorio nazionale?»
C’è poi l’aspetto Bce. L’economista Roubini, intervistato dal nostro giornale all’indomani delle elezioni, ha sostenuto che la Banca non controfirmerà  il memorandum necessario per accedere agli interventi d’emergenza, le Outright monetary transactions, se da parte italiana non ci sarà  a sottoscrivere gli impegni un governo stabile. Lei è d’accordo?
«Diciamo che questo è uno scenario. Ma ce n’è un altro, secondo me più probabile: la Bce ha impegnato tutta se stessa in quest’operazione, “stirando” i trattati per apparire il più possibile simile a un lender of last resort.
C’è la credibilità  della Banca stessa in ballo oltre a quella dell’Italia, per non parlare di quella personale di Draghi che ha dovuto vincere strenue resistenze all’interno del board. In questo caso è un problema politico ma stavolta soprattutto tecnico: se si lascia l’Italia in balìa degli eventi aspettando questo mitico governo stabile, c’è tutto il tempo perché il vostro Paese frani trascinando nel gorgo tutto l’euro, vanificando non solo l’architettura degli Omt ma l’intera moneta. Un suicidio per la Banca centrale, che diventerebbe di colpo corresponsabile della fine dell’euro: non credo che Draghi abbia intenzione di suicidarsi».


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