Violenza di Stato per la sicurezza

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Ci riferiamo al crollo della retorica securitaria, che aveva riempito l’agenda politica negli ultimi venti anni, e sulla quale alcuni attori politici (la Lega in primis) avevano costruito la loro fortuna. Denudate della loro strumentalità , formule come tolleranza zero si presentano per quelle che sono, vale a dire frammenti di un discorso autoritario foriero di politiche penali mirate alla marginalizzazione di alcuni gruppi sociali. In questo contesto, si creano lo spazio e le condizioni per un libro come La tortura in Italia di Patrizio Gonnella (DeriveApprodi, pp.140, euro 16).
Partendo da alcune recenti sentenze europee sfavorevoli al sistema penitenziario italiano o al caso di Asti, dove i poliziotti autori dei pestaggi non sono stati condannati perché la legislazione italiana non contempla il reato di tortura, l’autore ci fornisce una mappa degli abusi, delle disfunzioni e delle contraddizioni su cui si regge il sistema penale italiano. Il risultato finale è quello di una genealogia delle violazioni, delle omissioni e anche delle resistenze che si formano attorno a questa pratica disumana e disumanizzante, ancora dura a morire.
Gonnella mette al centro della sua esposizione il concetto di dignità , che fino alla rottura illuminista veniva associato al decoro, quindi concerneva soltanto i funzionari pubblici e gli strati sociali privilegiati, ma che nel contesto dei diritti umani affermatosi dal 1789 in poi va invece declinato in senso universale. In realtà , lo iato tra enunciazione e pratica è lungi dall’essere colmato. Così, come avrebbe detto Stan Cohen, i depositi di potere che si creano negli interstizi degli apparati repressivi dello stato, si mescolano alla retorica della rieducazione di cui sarebbero investiti le forze dell’ordine, riproducendo in questo modo una disparità  di condizioni tra funzionari pubblici e normali cittadini, tra poliziotti e detenuti. È proprio in questa zona grigia che si creano le condizioni per la reiterazione della tortura. Finché la sfera penale verrà  investita del compito simbolico di ricomporre le divisioni di della società , e la riproduzione delle disuguaglianze sociali richiederà  di marginalizzare o escludere immigrati, prostitute, precari e altri «indesiderabili», allora la paura imprimerà  il suo marchio fondativo sulla vita collettiva. Di conseguenza, funzionari come il dottor De Tormentis potranno torturare i brigatisti veri e presunti in nome della sicurezza, e i poliziotti di Asti potranno rivendicare il pestaggio dei detenuti in nome della minaccia e dell’anomalia che questi rappresenterebbero.
La tortura allora non si connota soltanto per essere un atto che viola il corpo, ma per essere un abuso sul corpo in quanto ha il fine di ristabilire l’ordine costituito e sancire i rapporti di potere vigenti, legittimando la disuguaglianza sociale. È proprio per questo che la prima proposta di abolizione della tortura all’interno del Parlamento italiano risale al 1989, per finire affossata, come le altre, da emendamenti come quello presentato dalla leghista Lussana nel 2005, che considerava tortura un abuso delle forze dell’ordine solo se reiterato. A questo punto, ci avverte Gonnella, per comprendere meglio la posta in gioco, bisogna abbandonare la prospettiva individuale, imperniata sulla relazione vittima/carnefice, per spostarsi sul piano sistemico. Lo spazio per la tortura allora si manifesta nella sua pienezza, come uno spazio fisico e giuridico allo stesso tempo. Se le carceri sono sovraffollate, e il sovraffollamento è dovuto a provvedimenti legislativi che criminalizzano i migranti e i consumatori di sostanze stupefacenti, ne conseguirà  la spoliazione di questi soggetti della loro dignità  umana, e il basso livello di vivibilità  delle carceri costituirà  già  di per sé una tortura per i detenuti, costretti a vivere in condizioni inumane e degradanti.
La retorica securitaria apporrà  il suo sigillo su questo contesto, sia legittimando le pratiche repressive di impronta autoritaria. La tendenza si può invertire, a patto di percorrere la strada inversa e adottando misure snelle ed efficaci. Innanzitutto, attraverso l’abolizione delle leggi Bossi-Fini e Fini-Giovanardi, principali responsabili del sovraffollamento carcerario. In secondo luogo, bisogna colmare la lacuna delle istituzioni ispettive, istituendo finalmente la figura del garante dei detenuti, un organo indipendente, dotato di poteri ispettivi, che renda il carcere trasparente e tolga agli apparati repressivi l’aura di impunità  di cui hanno fin qui goduto. E ovviamente che l’Italia, adempiendo i trattati internazionali, introduca il reato di tortura. Non vuol dire che cesserebbero gli abusi, ma sicuramente cesserebbe lo stato di impunità  che, come nota Gonnella, rende le forze dell’ordine affini ai colletti bianchi. Che dal caos elettorale nascano queste stelle danzanti?


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